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6 Gennaio 1913 – L’eccidio di Roccagorga

Una pagina di storia locale

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La mattina del 7 Gennaio 1913 Roccagorga sali ai cosiddetti onori della cronaca di tutta la stampa nazionale che riportava, con titoli più o meno vistosi, le prime notizie degli incidenti avvenuti il giorno prima sulla piazza del paese fra dimostranti e forza pubblica. Il lunedì 6 Gennaio infatti, giorno dell’Epifania, al termine di un comizio indetto dalla “Società Agricola Savoia” si verificarono gravissimi incidenti durante i quali le forze dell’ordine, per impedire l’occupazione del municipio, aprirono il fuoco sulla folla lasciando sul terreno morti e feriti. Tutti i quotidiani di quell’epoca parlarono dell’eccidio di Roccagorga per più di qualche settimana. Nel 1913 l’Italia era governata da Giovanni Giolitti, e minente statista piemontese che caratterizzò con la sua forte personalità la vita politica italiana dal 1900 fino alle soglie della Prima guerra mondiale. Durante i suoi governi, quasi ininterrotti, fece approvare leggi di carattere prettamente sociale come l’invalidità e vecchiaia, gli infortuni sul lavoro, il lavoro femminile e infantile. In politica estera la sua abilità politica gli permise di portare a termine la guerra contro la Turchia per la conquista della Libia. Motivi di scontento, tuttavia, non mancavano. Tra i principali la questione meridionale: il Mezzo giorno d’Italia, povero, depresso.

Nel 1913 il circondario di Frosinone, al quale apparteneva Roccagorga, era povero, con una economia basata essenzialmente sull’agricoltura. Ma più povera di tutti era Roccagorga, il cui piccolo territorio era (ed è) formato prevalentemente da zone montagnose dei Lepini ed apparteneva per 4/5 alla casa Doria-Pamphili. Gli abitanti, di poco inferiori al numero di 2.400, erano quasi tutti poveri contadini e braccianti, in maggioranza analfabeti, che traevano il loro sostentamento da quel poco che offriva la terra. Parte di essi erano emigrati in America da anni e proprio nel 1913 l’emigrazione transoceanica ed europea raggiunse in Italia il limite massimo di 560.000 emigranti. Per capire ancora meglio le condizioni di miseria degradante in cui vivevano i nostri antenati, riportiamo una frase, la più significativa, che l’Onorevole Campanozzi disse alla Camera dei deputati il 17 febbraio 1913 durante il dibattito sui fatti di Roccagorga: “I contadini di Roccagorga per andare al lavoro debbono sobbarcarsi ad una fatica enorme. La gran parte di essi si alzano a mezzanotte, fanno 4 ore di cammino per andare sul posto di lavoro, attaccano all’alba, staccano alle 2 pomeridiane e ritornano alle loro casette per mangiare un piatto di granturco”. Il posto di lavoro che raggiungevano era la Palude Pontina, infestata dalla malaria. Ebbene, in quelle condizioni viveva il popolo di Roccagorga, tagliato fuori da tutto e da tutti, a soli 100 km, da Roma. L’unica forma di organizzazione era costituita da una società di mutuo soccorso chiamata “Società Agricola Savoia”, fondata l’anno prima sulla base dei sentimenti di “Fratellanza e concordia” e nel cui statuto si evidenziavano nobili ideali come: “Fede e lavoro, Dio, Patria e Re”. Eppure, questi nobili ideali, ai quali avevano aderito tutti, in meno di 100 giorni furono stravolti per beghe personali da quelle stesse persone che avevano partecipato alla Società fin dalla sua istituzione: da una parte i dirigenti della Società, il Presidente Antonio Basilico e il direttore Dante Mucci, e dall’altra il sindaco Sig. Vincenzo Rossi, meglio noto come Cencio Rossi.

Questa contrapposizione determinò in breve tempo una critica situazione che sfociò nel tragico conflitto del 6 Gennaio 1913.

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LA SOCIETÀ AGRICOLA SAVOIA

Nell’anno 1912 alcuni contadini erano ritornati dall’America animati da buone intenzioni e volevano fare qualcosa per il paese nativo, qualcosa di nuovo e di diverso per quell’ambiente dove non era cambiato niente dall’unità d’Italia. Pensarono di riunirsi, di organizzarsi.
La mattina del 2 Giugno 1912, giorno di festa in paese perché S. Erasmo, si riunirono circa 80 Rocchigiani e dettero origine, alla presenza del sindaco Cencio Rossi, ad una società di fatto chiamata “Società di mutuo soccorso Savoia”, per aiutarsi reciprocamente nel lavoro dei campi, specialmente in caso di malattia. Tutti d’accordo, dunque, sindaco compreso. Tra la costituzione della Società e la stipulazione dell’atto notarile contenente gli articoli dello statuto passarono appena 4 mesi e mezzo. In questo breve intervallo di tempo avvenne la prima frattura ai vertici della Società. Alla direzione del sodalizio era stato chiamato il Sig. Dante Mucci, consigliere comunale, persona non gradita al sindaco per precedenti rancori personali di carattere privato. solite ripicche che nei piccoli centri non mancano mai. Da questo piccolo dissidio arriverà all’eccidio. Nel paese cominciavano circolare le prime sulle tensioni di alcuni aderenti. Il sindaco veniva criticato perché era contemporaneamente sindaco e amministratore della casa Doria-Pamphili, e quindi non poteva curare bene gli interessi del Comune che dovevano essere diversi da quelli dei Doria. Il medico condotto, Dott. Almerindo Garzia, era accusato di trascurare gli interessi della povera gente bisognosa di cure sanitarie e di frequenti visite a domicilio. Il segretario comunale non fu esente da chiacchiere sia perché era parente del sindaco, sia perché si assentava spesso dal Comune per altro lavoro nel vicino paese di Priverno. Giorno dopo giorno il paese capiva le critiche rivolte al Comune e nella mentalità semplice di tanta gente esasperata dalla miseria la critica diventava un atto di accusa. Il sindaco di Roccagorga cominciava a preoccuparsi sull’evolversi della situazione ormai divenutagli ostile e non fece nulla per richiamare i dirigenti della Società al fine di evitare dolorosi equivoci. La Società ormai era il suo nemico. Gli 80 componenti iniziali dell’istituzione agricola erano diventati 800. Era ormai un popolo sul quale soffiava il vento dell’agitazione, rinfocolata giorno dopo giorno da cause vere o false, da odi repressi, da rancori personali, da critiche ingigantite fino all’esasperazione. Era un popolo pronto a esplodere contro il medico, contro il Comune, contro tutti. Nessuno capi il momento critico. Nessuno intuì che quella situazione poteva sfuggire di mano sia agli uni che agli altri. La passionalità aveva fatto perdere ormai la razionalità. L’8 Dicembre ci fu un primo comizio premonitore durante il quale i Dirigenti della Società ribadirono le accuse contro l’Amministrazione: questo comizio impressionò seriamente il sindaco che provvide ad avvisare immediatamente le competenti autorità. Si era ormai in clima natalizio e l’anno 1912 volgeva al termine con tutti ricordi brutti e belli. La speranza della nostra gente, che passava di casa in casa per fare gli auguri di “buona fine e buon principio”, brindando con un semplice bicchiere di vino, era quella di vedere un 1913 diverso e di avere un buon principio d’anno con una vita meno grama.

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IL MEZZOGIORNO DI FUOCO DELL’EPIFANIA

Dalla sede della Società Agricola Savoia, che si trovava nel palazzo Pacifici posto sul lato della piazza Vittorio Emanuele (così si chiamava allora la piazza), partì un avviso per il Comune con il quale si indiceva un nuovo comizio per la mattina del 6 Gennaio 1913. La domanda del comizio rifiutata dal sindaco fu trattata dai firmatari col delegato Longhi al quale fu chiesto il permesso di fare una “passeggiata di protesta”. Su questa base di accordo fu fissato il comizio per le ore 11. La mattina di lunedì 6 Gennaio 1913 la piazza di Roccagorga era popolata più del solito. Era il giorno festivo dell’Epifania.

Alle ore 11, più o meno, iniziò il comizio. Sul balcone c’erano Antonio Basilico, Dante Mucci e altri componenti del l’istituzione. Gli animi cominciavano a riscaldarsi. Mancava qualche minuto a mezzogiorno. Subito dopo alcune donne d’istinto si diressero verso la sede, raggiunsero il balcone, presero la bandiera e scesero in piazza. Fu un attimo. La folla cominciò, a tumultuare. Nella mente dei più scatto tacitamente la molla dell’assalto al Comune. Alcuni carabinieri furono subito invitati a fare rientrare la bandiera nella sede per evitare inopportune dimostrazioni. Non ci riuscirono perché intorno al tricolore si erano raggruppati uomini e donne. Altri carabinieri allora si slanciarono verso la donna che portava il vessillo per levarglielo dalle mani. Ci fu una colluttazione durante la quale l’asta andò in pezzi e la bandiera fu ridotta a brandelli.

I dimostranti che avevano assistito a quel primo tafferuglio erano diventati ormai agitatissimi. Segui un trambusto, una confusione indescrivibile. Improvvisamente alcuni, imitati da altri, si slanciarono di corsa per le due rampe che dalla piazza portano alla sede comunale di fronte alla quale era stata schierata la truppa al comando del tenente Gregori. Era un momento critico, terribilmente difficile. Da una parte la folla tumultuante e dall’altra la forza pubblica decisa a difendere il Comune. I dimostranti avanzavano sempre più a piccoli passi verso quei soldati con i fucili spianati, convinti, erroneamente, che essi non avrebbero fatto fuoco.

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Il momento critico degenerò con le prime sassate dirette contro i militari. Ci fu una carica alla baionetta. “Savoia”! gridò la truppa, e la folla indietreggiò, sbandò. Poiché le sassate aumentavano, il delegato di P.S. Longhi, cinta la sciarpa tricolore, fece eseguire i rituali squilli di tromba gridando verso la folla: “Scioglietevi in nome della legge!”. Niente da fare. “Scioglietevi in nome della legge!” ripeteva il funzionario. In quel preciso istante partirono alcuni colpi di rivoltella, non si sa da dove, che ferirono due soldati. Al pericolo immediato il tenente Gregori, convinto di essere sopraffatto, ordinò il fuoco. Alla scarica tremenda segui un attimo di silenzio sepolcrale. Poi grida di dolore, di orrore, si udirono da ogni parte. Segui lo scompiglio, il panico, il fuggi fuggi generale. A quella gente semplice, mandata allo sbaraglio, era crollato il mondo addosso.

Cadono sette “Rocchigiani”: Erasmo Restaini (34 anni), Salvatore Ferrarese (55), Fortunata Ciotti (25), Vincenza Babbo (44), Carlo Salcani (5), Mario Restaini (27), Vincenzo Mancini (28), e oltre 50 i feriti. La paura s’impadronì del paese. Molti contadini spaventati fuggirono sui monti e vi rimasero per mesi. Tutta la stampa di partito e di informazione cominciò a riportare le prime notizie sugli incidenti di Roccagorga man mano che giungevano alle sedi dei quotidiani. Col passare dei giorni venivano sempre più precisati i resoconti sugli scontri tra forza pubblica e dimostranti e si pubblicavano i nomi dei morti e dei numerosi feriti.

Pagine estratte dal volume “Roccagorga, dalle origini ad oggi” di Antonio Restaini

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