Nel 2000 la Regione Lazio ha istituito, con un apposito decreto, il Monumento Naturale “Giardino di Ninfa” allo scopo di tutelare e valorizzare il giardino di Ninfa, un giardino romantico conosciuto internazionalmente, e l’area rinaturalizzata di Pantanello, una vasta area umida in cui sono state ripristinate artificialmente le condizioni ambientali precedenti la bonifica delle paludi pontine operata negli anni Venti-Trenta del Novecento.
Il Monumento Naturale comprende:
« Ecco Ninfa, ecco le favolose rovine di una città che con le sue mura, torri, chiese, conventi e abitati giace mezzo sommersa nella palude, sepolta sotto l’edera foltissima. In verità questa località è più graziosa della stessa Pompei, le cui case s’innalzano rigide come mummie tratte fuori dalle ceneri vulcaniche. »
Ferdinand Gregorovius, Passeggiate romane
Seppur nel territorio del Comune di Cisterna di Latina, Ninfa è strettamente legata alla storia della famiglia Caetani e quindi a Norma e Sermoneta, dalle quali dista pochi chilometri. Ai margini della via Pedemontana Volsca che collegava Roma con il Sud del Lazio, proprio sotto la rupe di Norma, al lato di un limpido laghetto formato dalle acque del fiume Ninfeo, nel VII secolo d.C. si insediò un modesto nucleo di abitanti che avevano abitato la diruta Norba.
Nel 1921 ci fu la svolta grazie a Gelasio Caetani, figlio di Onorato Caetani, il quale iniziò la bonifica della zona e il restauro dei ruderi (in particolare della torre e del Municipio) e avviò un’opera di recupero botanico attraverso la piantumazione di diverse specie vegetali, sotto la guida di Aba Wilbraham Caetani, sua madre. L’opera fu poi continuata dal fratello Roffredo, da sua moglie Marguerite Chapin, e da Lelia Caetani Howard, loro figlia. Il giardino è quindi il risultato di amorose cure e geniali interventi botanici indubbiamente favoriti dal microclima del sito di Ninfa, protetto a nord dalla sovrastante rupe di norma e regolato termicamente dal fiume che in esso origina.
Nel 741 l’imperatore Costantino Copronimo donò, al Papa Zaccaria, Ninfa e Norma. Nel IX secolo Ninfa fu in possesso dei Conti di Tuscolo e solo nel 1805 entrò a far parte dei possedimenti della Santa Sede. Nel 1159, proprio a Ninfa, Rolando Bandinelli venne incoronato papa con il nome di Alessandro III nella chiesa di Santa Maria Maggiore, di cui restano le rovine. La cittadina fu in possesso dei Frangipane e degli Annibaldi, ma Ninfa raggiunse l’apice a partire dal 1297 con Pietro Caetani, nipote di Bonifacio VIII, il quale incentivò sia l’attività edilizia che commerciale. I Caetani, infatti, la potenziarono con la costruzione di ben sette chiese, oltre 150 abitazioni, due mulini per cereali, mura di cinta e un palazzo con una robusta torre.
Le fortune di ninfa durarono fino al febbraio del 1382. In quell’anno, travolta da lotte fratricide, fu totalmente distrutta e non fu mai ricostruita. La malaria fece il resto, disperdendo i pochi contadini rimasti sul posto. Ormai esisteva solo nel ricordo, tanto che nell’Ottocento veniva definita la “Pompei del Medioevo” (Gregorovius).
Sono migliaia le piante che ormai hanno attecchito e seguono un tranquillo ciclo vitale, sotto la guida di esperti tecnici e botanici. Insieme ai nostrani ontani, salici, pioppi, olivi, querce, aranci, limoni, melograni, crescono l’azzurro ceanothus californiano, i grandi aceri nipponici, le betulle boreali, l’albero dei tulipani, l’acero dello zucchero, magnifici bambù, la splendida Gunnera manicata, i ciliegi cinesi, la calla etiopica. Profumatissime sono le aree coltivate con rose, garofani, papaveri, tulipani, peonie, begonie, lillà, lavanda, salvia e rosmarino.
Nel 1977 Lelia Caetani moriva senza eredi e, con lei, dopo oltre 700 anni, si estingueva anche il casato. Per evitare la dispersione di un patrimonio così vasto, donna Lelia, quando era in vita, istituì la Fondazione “Roffredo Caetani di Sermoneta”, alla quale intestò la proprietà: un’azienda agricola, Ninfa e il Castello di Sermoneta. Nel 2000 tutta l’area di Ninfa è stata dichiarata monumento naturalistico ed il giardino è stato definito, dal The New York Times, il più bello al mondo.
Verso la metà degli anni ’90 del secolo scorso, la Fondazione Roffredo Caetani decideva di mettere in campo, intorno al Giardino di Ninfa e in collegamento con le sue ormai collaudate strutture, un’iniziativa per il recupero e la valorizzazione degli ecosistemi umidi, oramai quasi del tutto scomparsi dalla Pianura Pontina, in particolare dalla sua porzione interna, mirando soprattutto al recupero della flora endemica. Tale piano (poco più di un’idea a quella data) comprendeva anche la parziale riforestazione e il parziale riallagamento di un’azienda agricola adiacente al Giardino (circa 100 ettari in totale), sottraendola alla produzione agricola poiché ritenuta non più strategica e funzionale agli scopi statutari ed istituzionali della Fondazione.
E’ pertanto questo lo spirito che ha animato il progetto – inizialmente denominato Ninfa 2, non avendo certezza di quali obiettivi sarebbero stati effettivamente raggiungibili – che è stato, non senza fatica, portato a termine dalla Fondazione Caetani attraverso più stralci esecutivi e grazie all’attivazione di differenti strumenti finanziari. Il tutto nell’ambito degli indirizzi tracciati dallo Statuto della Fondazione stessa (“…. Concorrere, altresì, alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche ….”).
Ben presto, si potrebbe dire sin dai primi tratti di penna tracciati sulla base cartografica, i professionisti incaricati di tradurre l’idea originaria in un progetto si sono resi conto delle enormi possibilità che una simile sfida tecnico-culturale aveva, soprattutto in relazione alle potenzialità naturalistico-ecologiche del sito ed al fascino evocativo di un’area naturale “a protezione” del Giardino di Ninfa.
L’idea originaria si è quindi ampliata: dalla possibilità di creare una “nursery” per specie botaniche preziose e minacciate, originali del territorio in cui è inserito Pantanello, si è passati a immaginare un ecosistema (complesso, articolato e differenziato), in cui accogliere nuovamente anche la componente faunistica. Il tutto in un contesto paesaggistico caratterizzato da un elemento dominante ed unificante: l’acqua.
In tal senso, l’opera nel suo insieme può essere definita come un’azione di “naturazione”, vale a dire di incremento della quantità di natura, di una porzione di territorio che, pur ricadendo in un contesto di elevato valore storico e paesaggistico, si presentava fortemente artificializzata, per certi versi persino banalizzata. L’obiettivo era quello di creare “nuova natura” secondo molteplici finalità:
Attualmente le specie ornitiche censite all’interno dell’area sono circa 110: alzavola, moretta, moretta tabaccata, garzetta e airone cinerino con l’airone bianco maggiore e l’airone guardabuoi, sono tra i più presenti. Non mancano i rapaci, con l’aquila minore, il biancone e il pecchiaiolo e almeno quattro esemplari di falco di palude: un vero paradiso per il bird watching!
Testo e immagini: Massimo Amodio
Oggi è possibile trarre un bilancio sicuramente positivo dell’iniziativa intrapresa, con lungimiranza, dalla Fondazione, che ha rinunciato a 100 ettari di terreno “produttivo” destinandolo alla natura.
A distanza di 15 anni dall’inizio dei lavori, si è già persa la memoria di quale era l’assetto del territorio interessato dal progetto: l’ambiente delle campagne attorno al Giardino di Ninfa si poteva suddividere in due parti ben distinte, con caratteristiche morfologiche, ecologiche, floristiche e vegetazionali ben differenziate: il fiume Ninfa e la relativa fascia ripariale, ove erano ancora presenti alcuni lembi di vegetazione ripariale arbustiva e arborea (le cui specie autoctone principali sono Salix alba, Salix purpurea e Populus nigra; in alcune radure è sviluppata una vegetazione erbacea paludosa a prevalenza Carex acutifolius e – ad una certa distanza dalle rive – alcuni nuclei di vegetazione paludosa a Salix cinerea) e la pianura interessata da coltivazioni agricole.
Questi ambienti, ma in particolare il secondo, sono stati profondamente trasformati dall’opera di riassetto morfologico, idraulico ed ecologico ed oggi ospitano un’importante compagine vegetale cui si associa una ricchezza faunistica (soprattutto di uccelli, ma non solo) che prima era del tutto sconosciuta nell’area.
Il Parco Naturale Pantanello è aperto al pubblico da ottobre a marzo con le seguenti modalità:
– visitatori singoli e/o in piccoli gruppi: la domenica, con visita guidata alle ore 10:00 della durata di 2 ore e 30 minuti circa;
– gruppi organizzati: tutti i giorni, durante tutto l’anno;
– scuole: da ottobre a maggio.
Per tutte le tipologie di visita la prenotazione è obbligatoria.
LIPU di Latina
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