Catalogo dei Musei dei Lepini
Luoghi e itinerari tematici

ITINERARIO 2

Testi di Francesco Maria Cifarelli

I Grandi Monumenti Repubblicani

Fra i protagonisti dello sfruttamento dei nuovi mercati aperti nel II secolo a.C. dalla conquista romana dell’oriente mediterraneo vi furono le intraprendenti aristocrazie delle città del Lazio, della Campania e del Sannio, legate alla factio politica facente capo a Caio Mario. Grazie al successo delle loro attività, queste élites locali accumularono ingenti ricchezze, venendo al contempo in contatto con quanto andava allora elaborandosi nei grandi foyer culturali del tardo ellenismo. Su queste basi, dalla metà del II secolo a.C. fino ai primi due decenni del successivo, fu per loro possibile avviare nelle città di origine vasti programmi di rinnovamento urbanistico, puntati in particolare sulle maggiori aree pubbliche: le mura, le piazze forensi, i templi o le terme. Nacquero così meravigliose realizzazioni architettoniche, caratterizzate da comuni elementi formali quali l’organizzazione su terrazze o la ricerca di effetti scenografici, che segnarono la nascita di un linguaggio architettonico nuovo, nel quale le esperienze ellenistiche vennero adattate alle diverse esigenze e forme di gusto della committenza “romana”. La ricerca archeologica degli ultimi anni, condotta in parte dagli stessi Musei del Sistema, ha mostrato come città quali Cori, Norma, Priverno o Segni nascondono nei loro centri storici importanti complessi architettonici di quest’epoca, capaci di mostrare con chiarezza i caratteri urbanistici e architettonici voluti dai loro progettisti e committenti.

Norba (Norma) veduta dell'antica città
Norba (Norma) veduta dell'antica città
Cori, il tempio dei Castori nel foro della città antica
Cori, il tempio dei Castori nel foro della città antica
Area Archeologica Privernum - La grande galleria dell'opera idraulica
Area Archeologica Privernum - La grande galleria dell'opera idraulica
Segni, una veduta del grande bacino circolare
Segni, una veduta del grande bacino circolare

Pietrificata all’81 a.C., quando i suoi cittadini preferirono la morte e la distruzione della loro città alla resa a Silla, oggi parco archeologico, Norba è forse il centro nel quale sono meglio leggibili molti dei principali caratteri di tali realizzazioni. Gli interventi interessarono la piazza del Foro e le principali aree sacre conosciute, il tempio di Diana sull’acropoli maggiore, quello di Giunone e i due templi della cosiddetta acropoli Minore: queste, con la loro organizzazione su terrazze, disposte a volte su più livelli e sostenute da poderosi muri in opera poligonale, offrono ancora oggi a chi vi si avvicina percorrendo gli assi antichi un forte impatto scenografico. Per la sua perfetta visibilità, dovuta alla sistemazione data dai recenti lavori, converrà soffermarsi sulla cosiddetta Acropoli Minore (fig. 1). La vasta spianata, che ospita due templi, è isolata sui quattro lati e mostra verso la città un possente prospetto in opera poligonale. In questo si apre una scalinata, tramite la quale uno dei principali assi urbani, che con percorso rettilineo attraversava da parte a parte l’abitato, raggiungeva la fronte del “tempio maggiore”. Salendo alla spianta, alla sinistra della scalinata, un altro tempio più piccolo prospettava la sua fronte al visitatore. Sarà facile immaginare l’effetto che il lento avvicinamento all’acropoli doveva generare su chi vi si dirigeva percorrendo la grande strada, con la fronte del tempio che stagliava la sua mole, sempre più vicina e imponente, al di sopra della gradinata.

Norba, resti dell'acropoli

Nell’antichissima e ricca città di Cori sono numerose le tracce di un ampio programma di riqualificazione urbana di quest’epoca. Ne sono testimonianza fra l’altro gli interventi di rinforzo delle mura, con le belle torri circolari in opera incerta presso le porte Romana e Signina, e, della città antica, il cd. Tempio di Ercole, con la sua fronte tetrastila affacciata in posizione panoramica verso la valle. Ma l’area che converrà visitare con maggior attenzione è quella della piazza del Foro, localizzabile attorno all’attuale via delle Colonne, che in quest’epoca trovò la sua definitiva sistemazione. Qui, su un sistema di tre terrazze sovrapposte e collegate da rampe dovevano localizzarsi i principali edifici pubblici, fra i quali, su una vasta piazza artificiale sorretta da un imponente edificio in opera incerta di cui sono ancora visibili alcune porzioni, il celebre tempio dei Dioscuri. Questo vero gioiello dell’architettura romana del tardo ellenismo sorgeva sull’estremità sud-orientale della terrazza centrale. L’antichissimo tipo del tempio “tuscanico”, caratterizzato da un pronao a 4 colonne e dalla divisione della parte posteriore in tre vani affiancati, viene qui rivisitato in forme prettamente ellenistiche. Eretto su un alto podio, presentava all’interno del vano centrale, la cella, un baldacchino che conteneva le statue dei Dioscuri. Il pronao era a sei colonne, corinzie, che sorreggevano gli architravi in calcare, sui quali è leggibile la dedica dei magistrati responsabili della sua costruzione.

tempio-di-castore-e-polluce-2

E spostiamoci a Privernum. Qui l’oggetto della nostra visita è l’intera città romana, ricostruita proprio in quest’epoca nell’area di pianura detta di “Mezzagosto”, oggi parco archeologico, dove sono visitabili, oltre a ricche abitazioni, le mura, le strade, i templi del foro, il teatro e le infrastrutture. L’impianto urbano fu organizzato a cavallo di un grande asse viario principale che attraversava la città in senso est-ovest, sul quale confluivano fasci di strade parallele ma non ortogonali ad esso. All’interno di questa griglia, gli spazi si dislocavano in maniera programmata, con le aree pubbliche(templi, foro e area del teatro) dislocati nel settore centrale dello spazio urbano. La visita può essere puntata, per le loro particolarità, sulle mura e sulla grande opera di canalizzazione. Le fortificazioni, in opera incerta, erano costituite da due muri paralleli separati da un intercapedine e raccordati da setti trasversali. Una volta, sopra la quale è facile immaginare il cammino di ronda, collegava i due muri. Torri circolari rinforzavano gli angoli del percorso. Il grande condotto sotterraneo, fulcro di un ampio sistema di smaltimento delle acque necessario in un sito soggetto a impaludamenti, serviva a canalizzare un rivo, affluente dell’Amaseno, al di sotto del piano della città per tutta la sua estensione, costituendone al contempo l’effluente per la rete fognaria. La struttura è larga oltre 6 metri, coperta con una robusta volta a botte: il percorso era interamente in galleria, ad eccezione di un breve tratto, lasciato a cielo aperto, visibile presso il teatro.

privernum

Dall’altro lato dei Lepini, Segni sta oggi rivelando una ricchezza di realizzazioni fino a pochi anni fa insospettabile. Fra queste deve anzitutto essere ricordato il ninfeo repubblicano: databile al tardo II sec. a.C., il ninfeo ha l’assoluta particolarità di conservare l’iscrizione musiva, in lettere greche, con il nome dell’architetto responsabile della sua progettazione, Quintus Mutius, uno degli artisti di origine orientale che lavoravano in quegli anni al servizio delle aristocrazie di Roma e delle città del Lazio. Incentreremo la visita sui due complessi dell’area alta della città, l’acropoli con il tempio di Giunone Moneta e quello di Santa Lucia.  Il tempio di Giunone Moneta sorge su una sorta di dado sorretto da imponenti muraglioni in opera poligonale che si staglia sulla cima del monte. Impostato sull’antica planimetria tuscanica, il tempio richiama anche nelle tecniche costruttive, il poligonale per il podio e l’opera quadrata di tufo per le celle, le antiche tradizioni. La monumentalità delle dimensioni, le proporzioni e la posizione scenografica ne fanno tuttavia una sapiente miscela di caratteri nella quale è possibile leggere la volontà di lanciare, nelle moderne forme ellenistiche, un messaggio di Il grande condotto sotterraneo, fulcro di un ampio sistema di esaltazione della tradizione locale. Linguaggio diverso parla il complesso di Santa Lucia, visitabile nella sede della XVIII Comunità Montana. Qui una serie di vani in cementizio, coperti con volte a botte, sorreggevano una spianata destinata ad un edificio per noi ignoto. La teoria di ambienti, perfettamente visibile dalla valle, offriva a chi saliva a Segni una veduta di grande impatto, caratteristica del periodo.

Per finire, un breve cenno a Sezze, dove lungo il fianco nord-occidentale delle fortificazioni si agganciano e si fondono alla linea delle mura in poligonale alcuni avancorpi in opera incerta, anch’essi organizzati su serie di ambienti voltati affacciati verso la valle. La loro presenza mostra, come nel complesso di Santa Lucia a Segni, la volontà di creare masse architettoniche di forte impatto visivo su uno dei fianchi delle fortificazioni della città maggiormente visibile a chi vi si dirigeva.

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