Catalogo dei Musei dei Lepini
Luoghi e itinerari tematici

ITINERARIO 6

Testi di Emilio Di Fazio

Santi patroni,Protettori e Culti nei Monti Lepini

Nei monti Lepini il culto dei santi, che ha inizio nell’età tardoantica, mostra una complessa trama di continuità e trasformazioni che lo connettono alla contemporaneità. Culti antichi si rinnovano, si sommano e sovrappongono a culti più recenti, dando forma ad un pantheon cultuale locale ricco di figure di santità articolate per funzione, specificità rituali e devozionali. A ragioni storiche e contingenti debbono essere ricondotte le frequenti competizioni che hanno determinato nel tempo il successo o il declino della titolarità dei patronati di varie comunità. Per la tradizione devozionale lepina i santi patroni locali hanno dovuto assai spesso competere per affermarsi rispetto a culti coesistenti o precedenti, che hanno lasciato segni diffusi nel territorio (icone, edicole, chiesette rurali di campagna, chiese madri), con un forte lascito nell’immaginario narrativo dei suoi abitanti (storie di miracoli, apparizioni, leggende di fondazione). All’interno di questo circuito, storie e narrazioni di circolazione ed elaborazione locale e storie d’origine colta s’intrecciano. Danno vita in tal modo ad un sapere nuovo, che accoglie elementi della contemporaneità ed al tempo stesso mantiene e conserva tradizioni comunitarie, secondo necessità contingenti e schemi condivisi.

In questa ampia casistica alle figure cultuali di origine cattolica si associano figure legate a miti di fondazione, leggende e presenze diverse. Regine, sibille, fate, diavoli, santi, madonne e briganti sono coinvolti e impiegati a sostegno di storie fantastiche, intrecci di storie, personaggi e fatti mitici che animano le narrazioni locali. In questo articolato apparato narrativo si possono individuare molteplici livelli di relazione con fenomeni storici, politici, economici e sociali che hanno interessato il territorio e le comunità locali. Un dato che fa dei monti Lepini un’area relativamente ‘omogenea’ dal punto di vista delle pratiche religiose è rappresentato dalla presenza di figure di Santi assai radicate nella devozione locale e ricorrenti nell’area, che la distinguono per esempio dall’Agro Pontino, che com’è noto si sviluppa e si popola nel Novecento, ed è influenzato da culti spesso importati dai ‘pionieri della bonifica’ di età fascista dalle loro località d’origine. E’ interessante osservare che, persino quando troviamo lo stesso culto in località delle due aree, emergono comunque differenze, percepite come notevoli, nelle modalità devozionali. Rientrano in questa tipologia i culti importati dalle comunità venete, come quello di Sant’Anna , Sant’Antonio da Padova, San Michele Arcangelo e San Marco, e quelli importati dalle comunità friulane, di Sant’Isidoro agricoltore, San Vito e San Donato.

Molti culti nei lepini si alimentano di ‘radici locali’; ovvero santi patroni di cui si attesta “storicamente” la presenza nel territorio. è il caso di San Gaspare del Bufalo a Sonnino , di San Tommaso d’Aquino a Priverno , di San Lidano a Sezze, della Madonna del Soccorso (che costituisce una rifondazione del precedente culto di Santa Oliva) a Cori. Un caso significativo è rappresentato da santi, presenti in modo pressoché costante in diversi centri che, per la loro diffusione e radicamento, ‘insidiano’ il primato del culto del santo patrono. Tra questi i più importanti sono il culto di Sant’Antonio da Padova, di Sant’Antonio Abate, di San Rocco, del Sacro Cuore di Gesù ed il più recente e contemporaneo culto di San Padre Pio. In questo vivace ed effervescente panorama devozionale che si contrappone all’immagine arcaica, fissa e stereotipata della religiosità popolare, a volte superficialmente proposta da televisione e mezzi di comunicazione, emergono di volta in volta protagonismi ed eccellenze diverse, come i “santi della comunità”: San Carlo da Sezze, San Tommaso da Cori, la Madonna di Mezzagosto di Priverno, la Madonna del Rifugio di Norma e la Madonna delle Grazie a Sonnino ,che si affermano sul culto di santi patroni “imposti” ovvero ancorati ad un passato remoto, a scelte egemoniche ed ecclesiastiche “distanti dall’esperienza” locale.

Anche in questa forma di negoziata rivendicazione di partecipazione creativa all’esperienza religiosa si riafferma il protagonismo comunitario e popolare che dinamizza e scuote un orizzonte spesso statico dei culti patronali, come quelli imposti o “portati” in passato dalle famiglie nobili dell’area lepina. Tra questi possiamo citare il culto per San Michele Arcangelo a Roccamassima , quello di San Massimo per Roccasecca dei Volsci, o di Sant’Agata per Prossedi. Nel vasto pantheon cultuale lepino ci sono infine santi ai quali un tempo venivano affettuosamente attribuite e riconosciute (a volte anche con confidenziale ironia) potenzialità e capacità di signoreggiamento diverse. Per influire sulle condizioni atmosferiche ad esempio, e quindi sul raccolto, venivano un tempo esposti o portati in processione i busti o le statue di santi che tradizionalmente erano invocati per far piovere o per far smettere di piovere, come la Madonna di Mezzagosto, Sant’Erasmo, San Massimo, San Gaspare del Bufalo, San Lidano , San Michele Arcangelo, San Giuseppe, Sant’Eleuterio, San Felice, Sant’Isidoro e San Rocco. All’acqua, bene scarso e storicamente non assicurato nei Monti Lepini, sono legati i culti dei santi da cui prendono il nome alcune fonti e sorgenti d’acqua come la sorgente di Sant’Erasmo e di Sant’Emiddio all’eremo di Roccagorga, o quella assai importante detta di Sant’ Angelo, a Bassiano, che rifornisce Sezze oltre che la propria comunità. Considerevole è il gruppo di santi un tempo venerati contro le malattie endemiche come la malaria, una presenza costante nella pianura Pontina. San Rocco, San Lidano (che secondo leggende locali tentò una prima bonifica),San Gaspare del Bufalo, San Tommaso D’Aquino e San Carlo da Sezze, cioè i Patroni delle comunità confinanti con la pianura pontina sembrano formare una ideale ‘barriera  protettiva’ alle pendici dei monti Lepini che un tempo

rassicurava, proteggeva, e segnava religiosamente il limite tra pianura e montagna, palude e pietra, terre palustri e centri abitati. In questa ideale “topografia” della santità, che disloca protezioni “dedicate” secondo necessità ed esigenze contingenti o più stabili, ai Santi protettori contro minacce terrene e “dal basso”, si associano patroni celesti, posti a protezione di pericoli provenienti “dall’alto”, dal cielo. Come il culto di San Michele Arcangelo, che si ritrova in molte comunità “arroccate” sui monti, come Gorga, Montelanico, Morolo, Pisterzo e Rocca Massima.

Per la protezione dai fulmini, dallo scoppio di esplosivi nonché, in tempi successivi, dai bombardamenti, era invocata Santa Barbara, patrona di Norma. Si tratta di un culto antico che mostra nel tempo capacità di rinnovamento e plasticità, adattandosi e partecipando dei problemi ed delle tensioni del tempo e del contesto. A Colleferro, ad esempio, il culto di Santa Barbara è stato al centro di problemi legati ad interessi economici, ragioni politiche e immaginari mitici e religiosi, per la presenza di un’industria locale di materie esplosive. Al fuoco è legato anche il culto di San Giuseppe, patrono di Sermoneta, ma presente e diffuso in diverse località lepine. Ad esso è legata la pratica dei “Favoni di S. Giuseppe” di Priverno, le “feste del fuoco” che celebrano l’inizio della Primavera e rinnovano i legami comunitari. La religiosità popolare lepina sembra tessere incessantemente trame simboliche di relazione tra Santi (a volte drammatiche, a volte ludiche, mai irridenti). Conflittuali ed antagoniste (come abbiamo visto), ma anche fraterne, di unione e cooperazione, anch’esse creativamente costruite dalle comunità locali come ad istituire vincoli, rinnovare reciprocità, consolidare alleanze in cielo allo stesso modo in cui gli uomini e le donne lepine tessevano e ricreavano costantemente legami (familiari, personali, comunitari) in terra. In questo modo erano

(sono, sebbene in forme ormai residuali) immaginate, narrate e costruite ‘fratellanze’ esemplari attraverso leggende e pratiche elaborate nei diversi circondari che “associavano” Sant’Agostino  e San Cataldo, Sant’Erasmo e San Eleuterio, Sant’Emiddio e Santa Reparata.

Ricco è il repertorio di leggende di fondazione, ambientate nel territorio, in cui ritornano queste fratellanze e dispute tra santi e tra comunità. Il patrono è sempre coinvolto nelle contese e le alleanze tra comunità. A Pisterzo il culto di Sant’Agata (in foto), è ricordato nella toponomastica, con la località “Monte Sant’ Aita” che testimonia la sua apparizione in una grotta. Gli abitanti di Pisterzo, un tempo, sembra che sostenessero (per meglio attribuire qualità negative, enfatizzare ed esacerbare differenze) che la statua della santa fu rubata dagli abitanti di Prossedi i quali le avrebbero persino strappato il seno. In questa “rappresentazione” che non dimentica mai di essere tale, l’altro viene rappresentato al negativo per meglio far risaltare la qualità dell’altro. A Prossedi, infatti, si narra che il santo patrono di Pisterzo, San Michele Arcangelo, venne donato loro dagli abitanti di Prossedi, in segno della loro magnanimità, e della loro (presunta) “superiorità” morale, che peraltro li eleva a “tutor” ideali dei loro antagonisti. Come si vede, le trame dei santi vengono creativamente usate per creare e costruire rappresentazione di sé e degli altri in un gioco relazionale vivace e ricco, simile alle trame di scambi e relazione intessute dalle comunità in una sostanziale rete di reciprocità, non immune da fatali conflitti e crisi. Ogni centro ama autorappresentarsi come un microsistema autosufficiente dal punto di vista votivo, cultuale, devozionale, ma al contempo inserito (attraverso pratiche e credenze religiose) in estese trame di scambi e di relazione, antagonistiche e solidaristiche.

Costante e diffuso è il culto di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali, presente in quasi tutte le comunità, che conferma la rilevanza e la estensione dei legami comunitari anche al mondo animale. Il territorio nel suo complesso è presidiato, protetto, assicurato dai rischi e pericoli grazie a questo network di patronati elettivi ed ascritti, mutevoli e dinamici, che assicurano tutele salvifiche e taumaturgiche, simbolicamente attribuite a figure elettive come nel culto di Sant’Agata che un tempo era invocata e chiamata ad intercedere nelle patologie del seno, Sant’Anna, invocata dalle partorienti e dalle donne che volevano avere figli, magari associando la richiesta ad un pellegrinaggio al Santuario della SS. Trinità di Vallepietra, o ricorrendo a San Bruno, al quale veniva attribuito il potere di liberare gli ossessi dal demonio, o San Cataldo, invocato per la risoluzione di problemi del linguaggio, così come San Tommaso D’Aquino, grande dottore d’eloquenza e di filosofia era posto a protettore di studenti poco inclini allo studio, o San Domenico e Sant’Eleuterio a vigilare contro il pericolo di serpenti, in una estesa ed articolata rete protettiva e rigenerativa dell’unità e dell’identità (inter) comunitaria lepina.

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