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Nella Macchia dei Monti Lepini
L’intricato mondo sempreverde che prende il nome di macchia dei Monti Lepini occupa oggi porzioni limitate di territorio. L’azione dell’uomo ha infatti modificato radicalmente l’originario paesaggio mediterraneo creandone di nuovi, non meno suggestivi, ai quali le diverse specie animali hanno in qualche modo dovuto adattarsi.
Nell’impenetrabile e fitta macchia alta, come nei cespuglieti sempreverdi, nelle macchie a ginestra, tra gli arbusti, i rampicanti e le bacche variopinte, non mancano incontri speciali con una fauna caratteristica. Le singolari galle sono strutture generate dalle piante stesse in seguito a “punture” di acari e insetti. Quelle del lentisco, o quelle del terebinto, somigliano ai frutti del carrubo e ospitano all’interno una folla di afidi immaturi che si nutrono succhiando la linfa dai tessuti della stessa.
Sulle medesime piante si sviluppano le larve xilofaghe di Capnodis cariosa, un grosso e non comune coleottero buprestide (fino a 4 cm di lunghezza) nero lucente, con macchie biancastre. Legate ad altre piante della macchia sono alcune farfalle: cercando con attenzione tra le foglie dell’alaterno si possono scorgere i mimetici bruchi verdi della cedronella (Gonepteryx rhamni) e della cleopatra (Gonepteryx cleopatra). Le femmine di queste pieridi hanno una colorazione poco appariscente: verde pallido nella cedronella e bianco-verdastro nella cleopatra, mentre i maschi hanno le ali, rispettivamente, di colore giallo-sulfureo e giallo con una pennellata rosso-arancione su quelle anteriori.
Tra le foglie del corbezzolo e i suoi frutti rossi in maturazione (le “cerasa marine”), è probabile l’incontro con la farfalla del corbezzolo (Charaxes jasius), unico rappresentante europeo di un genere tipico del continente africano. Grande, elegante e dal volo acrobatico velocissimo, ha la faccia inferiore delle ali coperta da un mosaico di colori smaglianti e le ali posteriori prolungate in alcune “codine”. La farfalla del corbezzolo, posata su un ramo ad ali chiuse si confonde perfettamente nel contrasto dei colori della macchia, esaltati ancor più dai giochi di luci e ombre. I suoi bruchi si nutrono quasi esclusivamente delle foglie del corbezzolo; la presenza di questa vistosa farfalla è quindi strettamente legata a quella della pianta nutrice.
In questi ambienti dal clima caldo e secco, con lunghe siccità estive, l’ordine dei passeriformi è rappresentato dalle silvie mediterranee, piccoli uccelli dal corpo affusolato che si muovono e s’intrufolano tra le foglie sempreverdi. L’occhiocotto (Sylvia malanocephala) ne è un tipico rappresentante e sui Lepini è comune, sedentario e nidificante. Il maschio, ben celato nel folto, emette di frequente un musicale gorgheggio, ma se si invade il suo territorio lancia forti e aspre note di allarme ripetute in rapida sequenza. Ben presto emerge dal folto per controllare e curiosare, spostandosi velocemente da un cespuglio all’altro. Maschi e femmine sono inconfondibili e per gli occhi cerchiati da un vistoso anello rosso, particolare da cui deriva il nome. La vivace sterpazzolina (Sylvia cantillans) si osserva più di frequente nella macchia alta e rigogliosa, a partire dalla seconda metà di marzo e sino a tutto il mese di agosto. E’ specie molto attiva: il maschio, di tanto in tanto, dal fitto dei cespugli risale da un rametto frondoso fino a uscire allo scoperto, lanciando un trillo melodioso.
Dove si accanisce l’azione criminale del fuoco, prevalgono gli altri ciuffi dell’ampelodesma, una graminacea infestante. L’uniformità di questo paesaggio vegetale e il clima secco e arido limitano fortemente le presenze animali. Poche le osservazioni, anche dei più comuni uccelli granivori di passaggio, come cardellino (Carduelis carduelis), fanello (Carduelis cannabina) o zigolo nero (Emberiza cirlus), provenienti da qualche area vicina risparmiata dal fuoco o da un oliveto trincerato da muretti a secco. Non di rado invece, proprio sui versanti dove il caldo si fa opprimente, si può ascoltare la gioiosa nota acuta del maschio del beccamoschino (Cisticola juncidis), emessa in continuazione, al ritmo di una al secondo, durante il volo nuziale. Questo minuscolo cantore affida al suo incessante richiamo il compito di attirare le femmine; pratica spesso la poligamia, abbozzando vari nidi nel suo territorio che saranno in seguito completati dalle compagne, dandogli una particolare forma a “bisaccia”.
Nel caldo torrido di luglio, lungo i versanti collinari, tra gli arbusti scampati agli incendi e gli alti ciuffi dell’ampelodesma, è possibile l’incontro con un ortolano (Emberiza hortulana) mentre imbecca i giovani fuori dal nido; questo raro granivoro a volte porta a termine anche una seconda preziosa nidiata. Essendo molto sensibile alle trasformazioni ambientali è tra le specie incluse nella “lista rossa” italiana e in convenzioni europee per la conservazione degli uccelli. Nel comprensorio Lepino è specie rara e localizzata durante i passi migratori, estiva e nidificante. Il nido, costruito dalla femmina tra le erbe, pur se nascosto, è esposto soprattutto all’olfatto di predatori come la volpe, la faina o la donnola.
Anche il cervone (Elaphe quatuorlineata), serpente conosciuto da pastori e contadini dei Lepini come “pasturavacche”, grazie alla lingua bifida dardeggiata nell’aria e a un sofisticato organo situato nel palato, è in grado di scovare un nido nel folto di un cespuglio o tra le erbe, e avere la meglio sugli inermi nidiacei.
Mentre canta si nota il lungo mustacchio bianco che orna le guance e separa il bel castano-arancio di gola e alto petto, dal grigio cenere delle parti superiori. Giunge forte anche il canto della capinera (Sylvia atricapilla): il ricco e dolce gorgheggio di questa silvia è facilmente udibile in tutto il comprensorio, anche nel sottobosco, nelle siepi di parchi e giardini e fra i coltivi. Tra i cespugli sempreverdi e le piccole radure si osservano con maggiore frequenza la lucertola campestre e il biacco. Rara e localizzata è invece la testuggine di Hermann o testuggine terrestre (Testudo hermanni), sia nelle aree calde del versante occidentale, sia in quelle più interne, nel sottobosco di querceti caducifogli e castagneti. Gli incendi, l’eccessiva raccolta a scopo amatoriale e, almeno in passato, anche culinario, sono stati le principali cause della sua rarefazione. Esplorando con il binocolo i grossi cespugli sempreverdi del lentisco o i rametti anneriti di una ginestra, muti testimoni del passaggio devastante del fuoco, si può scorgere un confidente pigliamosche (Muscicapa striata) mentre caccia gli insetti in volo, con rapidi raid aerei.
Testi tratti da:
“Lepini, Anima selvaggia del Lazio”
Edizioni Belvedere. ISBN: 88-89504-03-X