Il Convegno sul tema della biodiversità e delle risorse ambientali dei Monti Lepini, tenuto il 10 dicembre nella sala Pio XI a Segni, è il terzo incontro annuale promosso dalla Compagnia dei Lepini, e organizzato in collaborazione con il Comune di Segni, con il patrocinio della Regione Lazio.
Attraverso un insieme di importanti provvedimenti regionali, è stata proposta l’adozione di misure di Conservazione finalizzate alla designazione di nuove ZSC (Zone Speciali di Conservazione) nei Monti Lepini.
I Monti Lepini sono senza dubbio uno dei siti di maggiore interesse naturalistico degli Appennini a più alta biodiversità del Lazio, con scenari e paesaggi tra i più belli dell’Italia centrale.
Con l’organizzazione del convegno sulla biodiversità dei Monti Lepini s’intende far tornare d’attualità il tema, imprescindibile, dello sviluppo sostenibile, favorendo la realizzazione di politiche per la tutela e la valorizzazione del patrimonio naturale.
La Biodiversità del territorio rappresenta il bene comune fondamentale per la vita futura della nostra civiltà e risulta essenziale assicurarne la conservazione, la possibilità di farne un uso sostenibile e durevole nel tempo.
Ma teniamo bene in mente l’ordine delle priorità: “non esiste economia, così come non esiste giustizia e bellezza, senza la natura”.
Il Convegno si è aperto con i saluti istituzionali e l’introduzione del presidente della Compagnia dei Lepini, Quirino Briganti che ha ringraziato il sindaco di Segni Maria Assunta Boccardelli per l’ospitalità e la collaborazione all’organizzazione del convegno.
Per il presidente Quirino Briganti “è assolutamente indispensabile accrescere l’impegno delle istituzioni, delle associazioni e delle comunità locali per diffondere più conoscenze sulle straordinarie ricchezze e risorse presenti nei Monti Lepini. La tutela della Biodiversità è un obiettivo primario che può essere colto con una maggiore conoscenza dell’intero territorio dei Lepini e con un’idea forte di sistema ambientale, che restituisca unitarietà, attraverso adeguati processi di valorizzazione.
La prima sessione è stata introdotta dal Dott. Riccardo Copiz, coordinatore della parte scientifica del convegno, che ha illustrato inizialmente le caratteristiche di quest’ampia area montana che costituisce uno scrigno di Biodiversità, per poi sottolineare lo scopo del Convegno: fornire un quadro concreto del tema, dando elementi di giudizio, affrontando le dinamiche, verificando le azioni da intraprendere e gli attori da coinvolgere per raggiungere l’obiettivo primario: la conservazione, tutela e sostenibilità della Biodiversità.
La parola è poi passata al Dott. Fernando Lucchese, Professore di Biologia presso l’Università Roma Tre, che ha introdotto la specie alloctona, detta anche “aliena”, ovvero, una specie che si è originata ed evoluta in un luogo differente da quello in cui si trova, di cui oggi troviamo più di 127 specie, tra cui la ARCHEOFITE (pianta instabile legata al frumento, come papaveri, fiordaliso e speronella), proveniente prevalentemente dalle zone americane, asiatiche e mediterranee, che pian piano sta facendo scomparire le specie autoctone dei Monti Lepini. Questo fa sì che la Biodiversità attraversi una fase critica poiché, in Europa, quasi un quarto delle specie selvatiche è attualmente minacciato di estinzione. Le cause principali della perdita di Biodiversità (il cambiamento degli habitat, l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali, l’introduzione e diffusione di specie esotiche invasive e i cambiamenti climatici) si sono aggravate, annullando gli effetti positivi delle azioni intraprese per arginare la perdita di biodiversità.
A seguire i rispettivi saluti da parte di Tommaso Conti, Presidente del GAL Monti Lepini, nonché sindaco di Cori e dell’ On. Renzo Carella.
Il Convegno si è focalizzato principalmente sugli studi relativi alla flora e alla fauna dei Monti Lepini, dove ricercatori e studiosi del territorio hanno presentato ricerche e lavori che descrivono lo stato attuale della situazione ambientale nella prospettiva prossima della pubblicazione di un “Atlante della Flora dei Monti Lepini”.
L’intervento successivo è stato a cura di Mauro Iberite, Professore e Ricercatore della facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, in servizio presso il Dipartimento di Biologia Vegetale dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, il quale ha menzionato diversi attori del pedemonte Lepino, tra cui sorgenti e corsi d’acqua come: il fiume Ninfa che attraversa il giardino di Ninfa per un breve tratto; il fiume Cavata che presenta un’elevata Biodiversità e nasce nella zona Monticchio (Sermoneta); il fiume Linea che segue l’Appia; il fiume Ufente a Sezze, la cui sorgente è situata alle pendici del monte Semprevisa e il fiume Amaseno, in provincia di Frosinone, con acque poco profonde ed il fondo ciottoloso; mentre, per quanto riguarda la vegetazione, sono state menzionate alcune piante acquatiche tipiche dell’area e le più diffuse sono: le anfibie, sommerse nell’acqua, non fioriscono mai; le Idrofite–elofite che appartengono alle Macrofite acquatiche, piante che pur essendo radicate al suolo, vivono prevalentemente con le radici nel fango, sono piante di sponda e si trovano in aree umide presenti nella zona di Monticchio.
All’intervento del professor Iberite, è seguito quello della Professoressa Sonia Ravera, Ricercatore presso il DiBT dell’Università del Molise ed autrice di oltre 150 pubblicazioni scientifiche e divulgative. La professoressa si occupa prevalentemente di flora e vegetazione lichenica epifitica e nel convegno chiarisce la situazione sullo stato delle conoscenze dei licheni nei Monti Lepini. I licheni sono degli organismi viventi composti da un fungo (micobionte) e da un’alga verde (fotobionte) che crescono attraverso un rapporto di perfetta simbiosi secondo la nuova definizione, data dopo 140 anni dall’ultima del 1869, grazie all’utilizzo del telescopio. Il monte Semprevisa ne presenta 48 specie epifite tra cui i Licheni crostosi, tipici della faggeta che hanno una crescita centrifuga che influenza anche lo sviluppo del faggio, la cui corteccia diventa a fasce.
Per la fauna, importante è stato anche l’intervento del Dott. Giovanni Mastrobuoni riguardo al monitoraggio e la tutela delle colonie di chirotteri. Grazie alle numerose cavità carsiche presenti nei Lepini, il Lazio ospita il 67% della specie. Nel territorio Lepino si trovano esattamente 16 specie di chirotteri, mentre nell’intera regione se ne distinguono 24. Una tra le principali grotte dei Lepini dove è possibile imbattersi in questa specie, si trova a Bassiano ed è la grotta del Cantocchio, la quale ospita più di 1000 animali d’inverno e 500 d’estate. Dal 2013 sono state adottate, dalla Regione Lazio, misure di monitoraggio e conservazione della specie.
Successivamente, dagli interventi dei Professori Luigi Marozza e Luigi Corsetti è emersa l’importanza dei Lepini per la fauna, soprattutto per un ritorno, a lungo atteso, dell’Aquila reale, uno dei 15 rapaci presenti nel Lazio capace di nidificare e divenuto simbolo dei monti Lepini, l’animale è presente anche negli stemmi di alcuni paesi. L’intervento ha rilevato la necessità di attuare misure volte a mantenere la conservazione di questa specie, per esempio, evitando la distruzione dei boschi e la costruzione di nuove strade e proseguendo con interventi di tutela.
Due interventi molto attesi sono stati a cura dei ricercatori e studiosi dei due Monumenti naturali, recentemente istituiti dalla Regione Lazio, delle “Superfici calcaree con impronte dei dinosauri” di Sezze e della “Area sorgiva di Monticchio” di Sermoneta, per le quali si dovranno realizzare delle adeguate attività di valorizzazione.
Per quanto riguarda le prospettive di sviluppo per il Monumento Naturale di Sezze, è intervenuto il geologo, paleontologo, Daniele Raponi, di Pontinia che ama profondamente i Monti Lepini e li ritiene uno dei migliori parchi geologici d’Italia:
“L’area dei Lepini presenta 95 diverse particolarità geologiche. E’ una sorta di paradiso per noi studiosi. Possiamo trovare i resti di antiche scogliere, lagune tropicali, pieghe e faglie nelle rocce carbonatiche, varie forme di carsismo che ci sembra di essere immersi in un trattato geologico”.
Il sito di Sezze è uno dei 95 geositi, ossia punti di notevole interesse geologico, presenti nell’area dei Monti Lepini.
Sulla strada Ninfina, esattamente nella sede calcarea (ex cava Petrianni) ai piedi di Sezze, sono state ritrovate il 14 luglio 2003, per opera di un team di geologi, Daniele Raponi e Gaspare Morgante, 200 impronte di dinosauri su 3 diverse superfici di strato, orizzontali. Una pista con impronte, più o meno di 24×13 cm, quindi molto piccole, di quadrupedi e bipedi, carnivori ed erbivori (la loro presenza è dovuta alla molteplicità di prede e vegetazione nell’area) risalenti a più di 90 milioni di anni fa. Un’impronta, in particolare, risale a un Sauropode, larga circa 25 cm e profonda 8 cm, (poco profonda) a forma di mezzaluna.
Il geologo si è focalizzato principalmente sulle problematiche di conservazione di questo Geosito, un territorio in cui è possibile individuare forme particolari di paesaggio a interesse scientifico e, dove oggi si rischia una perdita e un logoramento di queste orme di dinosauro, è stata proposta la creazione di un Geoparco, ovvero la trasformazione del territorio dei Lepini in un Parco Naturale che tuteli, valorizzi e renda sostenibile il patrimonio regionale geologico attraverso l’attuazione di politiche per la salvaguardia del territorio.
In Italia, patrimonio dell’Unesco, i Geoparchi sono solo 10, in un paese che possiede, in verità, un ricco patrimonio geologico particolare, l’istituzione di un parco rappresenterebbe una grande possibilità di sviluppo per il territorio, l’occasione per realizzare una autentica valorizzazione delle risorse naturali.
“Il Monticchio è un pezzo di Lepini che riemerge” queste le parole del geologo Giancarlo Bovina che ha illustrato le caratteristiche geologiche e naturalistiche del monumento Naturale del Monticchio, nel territorio di Sermoneta, identificandolo come geosito con particolari geodiversità. Il Monticchio oggi si presenta come un piccolo colle roccioso, sulla cui sommità si erige precaria una Torre Medievale, in larga parte demolito da una prolungata attività di estrazione della pietra che, assieme all’acqua sono gli elementi che ancora ne determinano l’unicità. E’ dalla pietra del Monticchio che, nel periodo della bonifica, sono state prodotte la sabbia e la breccia utilizzate per la costruzione delle strade della pianura; le pietre utilizzate per opere edili e per le strutture idrauliche: rivestimento dei canali e dei laghi, argini, briglie, ponti e altro.
Nel territorio sono presenti elementi del tutto peculiari: ulivi di circa 630 anni, piantati dai Caetani intorno al 1400; un profondo laghetto debolmente sulfureo, il Laghetto dell’Acqua Turchina con i suoi isolotti galleggianti e inoltre corsi d’acqua, sorgenti mineralizzate, acque solfuree, un mondo di acque diversificate che modificano il suolo, il terreno e l’aspetto geologico.
La seconda sessione del convegno tenuta nel pomeriggio ha visto come moderatore il giornalista Francesco Strangio, il quale ha introdotto la TAVOLA ROTONDA di cui i partecipanti:
Vito Consoli (Direzione Ambiente e Sistemi Regione Lazio), Pierluigi Sassi (Presidente Nazionale Earth Day Italia), Piergiacomo Sottoriva (Presidente della Fondazione Caetani), Claudio Di Giovannantonio (Dirigente Arsial), Maurilio Cipparone (Consorzio Universitario per la Ricerca Socioeconomica e Ambiente), Isabella De Renzi (Slow Food).