La città di Segni come sede di Diocesi è attestata a partire dal 499, quando nel sinodo indetto da papa Simmaco fu chiamato a sottoscrivere il Vescovo Santulo della Diocesi di Segni, rimase sede fino al 1986, quando fu poi accorpata alla Diocesi di Velletri e la Cattedrale di Segni è da allora Con cattedrale, accanto alla Cattedrale di San Clemente.
L’attuale Cattedrale di Santa Maria Assunta fu ricostruita nel XVII secolo su progetto dell’architetto Giovanni Battista Roderi. I lavori iniziarono nel mese di giugno del 1626, anno in cui era Vescovo Ludovico Atti e Sindaco Giovanni Battista Lauri e finirono nel 1657 quando era Vescovo Guarniero Guarnieri, patrizio di Osimo, ma soltanto il 23 aprile 1684 il Vescovo Francesco Maria Giannotti consacrò la nuova Cattedrale.
Del precedente edificio medievale possediamo soltanto una descrizione che ci fornisce all’inizio del XVIII secolo lo storico locale Gregorio Lauri nel suo manoscritto La storia di Segni e pochi, ma significativi frammenti di decorazione architettonica, alcuni dei quali visibili nella Cappella di San Bruno e altri conservati presso il Museo Archeologico Comunale, che attestano la presenza di un edificio di culto sia in epoca altomedievale che nel pieno XII secolo.
La pianta dell’attuale edificio è a croce greca con sette cappelle, compreso il presbiterio e quattro altari:
Statua del Santo in cartapesta.
Da fonti documentarie sappiamo che al posto della statua c’era un quadro del Marini, raffigurante S. Michele e S. Antonio, un successivo documento lo attribuisce invece al Baciccio (Giovanni Battista Gaulli)
La cappella è dedicata al Vescovo e Santo Patrono Bruno (Asti – ), le cui reliquie sono custodite all’interno del busto argenteo chiuso nella teca.
Nel 1923, in occasione dell’ottavo centenario della morte del Santo, vennero montate come paliotto d’altare tre lastre architettoniche in marmo con decorazione“cosmatesca” (fine XII secolo), provenienti dall’edificio della Cattedrale romanica. Sul retro i pezzi presentano una ricca decorazione propria degli arredi liturgici d’età altomedievale (VIII – IX secolo), con un repertorio iconografico che comprende intrecci a nastri viminei, rosette, nodi, croci, uccelli che recano sul becco un grappolo d’uva o che devono in un kantharos.
Il ciclo pittorico dell’intera cappella è di Lazzaro Baldi (1622 – 1703)
A destra:
(Affresco) San Bruno libera una ossessa. Durante la messa pontificale a Vallefredda (Frosinone) vicino Cassino.
A sinistra:
(Affresco) San Bruno confuta l’eretico Berengario di Tours sulla presenza reale di Gesù nell’Eucarestia, nel concilio romano del 1079, alla presenza di papa Gregorio VII, di Vescovi e altri personaggi (ultimo in alto a destra autoritratto del pittore). Uno studio preparatorio di questo affresco è conservato nella Collezione dei Disegni Italiani, che si trova al Castello di Windsor, in Gran Bretagna.
Lunetta a sinistra:
San Bruno, vestito da Benedettino, converte alcuni Briganti
Cupola:
Il paradiso. Angeli con rari strumenti musicali
Nei quattro pennacchi:
Virtù episcopali: vigilanza, pietà, carità, magistero
In alto sull’altare:
Le anime del Purgatorio
La cappella fu decorata con stucchi e pitture di pregio, eseguiti nel 1642 dagli artisti romani Francesco Vaiani e suo figlio Valerio, su commissione della Confraternita del Rosario, da cui ne prende il nome. Prima della Riforma Liturgica, operata dal Concilio Vaticano II, vi si eseguiva, al canto dell’ora terza, il rito della vestizione del Vescovo, quando questi indossava i paramenti sacri per celebrare nell’altare del coro la Messa Pontificale. La cappella fu chiusa da una balaustra in marmo nell’anno santo del 1700.
Al centro, su un altare in marmi pregiati e un’elegante edicola:
(Olio su tela) Madonna che dona il rosario a S. Domenico
La tela è da alcuni attribuita a Pietro Berrettini, meglio noto come Pietro da Cortona (1597 – 1669), ma è più verosimile l’attribuzione dell’opera a un valente artista romano, della scuola del Maratti (1625 – 1713) e operante negli ultimi decenni del secolo XVII.
A destra:
(Olio su muro – 1649) Antonio Generoli (1 – 1650)
La morte della Madonna e la sua ascesa al cielo. In alto sono dipinti quattro piccoli riquadri la Resurrezione, l’Ascensione, la Pentecoste e la Gloria degli Angeli e dei Santi, che con l’Assunzione costituiscono la serie dei cinque misteri gloriosi del Rosario.
A sinistra:
(Olio su muro – 1649) Antonio Generoli (1 – 1650)
La Nascita del Signore. In alto i quattro piccoli riquadri raffigurano l’Annunciazione, la visita della Madonna a S. Elisabetta, la presentazione di Gesù Bambino al tempio e il ritrovamento di Gesù nel tempio, che costituiscono i misteri gaudiosi del Rosario.
Autore del riquadro di sinistra è un pittore del XVII secolo diverso per tecnica e valore artistico dal Generoli.
Nella vetrinetta, sotto il grande riquadro di sinistra le tavole del trittico, secolo XV; la centrale raffigura il Salvatore seduto, le due laterali presentano rispettivamente la Madonna e S. Bruno, nel loro retro sono dipinti gli apostoli San Pietro con le chiavi e San Paolo con la spada. Dentro la cappella sono esposte due macchine processionali, opera in legno di artigiani locali: a sinistra quello dell’Addolorata 1875, a destra quella di San Bruno 1903. La cappella è chiusa da balaustra in marmo eseguita nel 1700
Prima di essere adibita a Battistero la cappella era dedicata a San Giovanni Battista. La parete di fondo era decorata con un’edicola barocca e a pala d’altare era collocato una tela del “famosissimo nonché ingegnoso Pomarancio”
Sul fondo:
(Olio su tela – 1856) Ignazio Tirinelli ()
San Giovanni Battista in atteggiamento oratorio
A destra:
(Olio su tela – XVIII secolo) Anonimo
Battesimo di Cristo
Apparteneva alla famiglia Luciani
Sull’altare:
Statua dell’Addolorata
Sotto:
Cristo morto
Ambedue opere scolpite in legno artigianato dell’Alto Adige
A destra:
(Olio su tela – 1706) Anonimo
San Filippo Neri
A sinistra:
(Olio su tela – secolo XVII) Anonimo
San Luciano
L’altare in marmo fu offerto da Pio IX e consacrato nel 1875 dal vescovo Antonio Testa, che a proprie spese chiuse la cappella con un’elegante balaustra in marmo bianco e rosso di Lepanto. La Cattedra vescovile è del 1905, dono del vescovo Pancrazio Giorni.
Pala d’altare:
(Olio su tela – 1856) Ignazio Tirinelli
L’Assunzione della Vergine in cielo
Opera di grande effetto per la straordinaria vivezza delle tinte e per la suggestiva composizione. In alto la Vergine sorretta dagli angeli e in basso il gruppo degli Apostoli.
A sinistra:
(Olio su tela – seconda metà XVII sec.) Alessandro Carchenne ()
La nascita della Madonna
A destra:
(Olio su tela – seconda metà XVII sec.) Alessandro Carchenne ()
La presentazione di Maria bambina al tempio
Le due grandi tele sono state restaurate dal pittore Serafino Lista nel 1761, come si legge nel dipinto di destra, nel quale oltre alla firma dell’artista “Alesander (sic) Carcani pinxit”, è presente anche quella del restauratore “Seraphinus Lista romanus restauravit A.D. 1761”.
Ai lati: Stalli canonicali di noce sec. XVIII; sgabelli lignei sec. XVII, in alto artistica vetrata di Fanin e Bartoli (1972), raffigurante Cristo seduto in trono.
Nel presbiterio pregevoli opere scolpite in bronzo dorato dallo scultore Giuseppe Cherubini: Tabernacolo 1987, colonna per lampada eucaristica 1988, colonnina per il cero pasquale 1990. Leggio 1989. il 15 novembre 1991 inaugurazione della via crucis in bronzo dorato dello stesso Cherubini.
(Olio su tela) di Francesco Cozza (1605 – 1682)
Incredulità di San Tommaso
Per questa opera l’artista ricevette molte lodi dal Domenichino, suo maestro. Il dipinto è ritenuto un capolavoro per i chiaroscuri, per la resa dei panneggi e per l’espressività dei personaggi.
Al centro:
(Olio su tela – seconda metà del XVII sec.) Aninimo
La morte di San Giuseppe
A destra:
(Olio su tela – fine XVII sec.) Anonimo (Scuola Romana)
Sposalizio di Giuseppe e Maria
A sinistra:
(Olio su tela – fine XVII sec.) Anonimo (Scuola Romana)
Scena familiare, Giuseppe porge a Maria i pannolini e le fasce per il Bambino
La cappella apparteneva alla famiglia ducale di Segni: gli Sforza Cesarini. La fece costruire e ornare con stucchi dorati il cardinale Federico Sforza, che sopra il cornicione ai lati della finestra vi fece apporre due grifoni rampanti, simbolo araldico della sua famiglia.
Autori dei tre dipinti sono i fratelli Cortois, italianizzato Cortese, detti Borgognoni dal luogo d’origine. Essi sono Guglielmo il più celebre, Giacomo detto il Battaglista, Antonio frate cappuccino.
Al centro:
(Olio su tela – seconda metà XVII secolo)
Il trionfo della Croce
A destra:
(Olio su muro – 1661)
Ritrovamento della Croce di S. Elena, madre dell’imperatore Costantino, S. Macario patriarca di Gerusalemme e il popolo davanti le mura della Città Santa.
Elena, fatti eseguire gli scavi sul monte Calvario, ritrovò la Croce di Cristo, confusa con quella dei due ladroni. Staccato dalla Croce, rinvenne anche il titolo, cioè la tavoletta su cui Pilato aveva fatto scrivere in ebraico, in greco e in latino, il motivo della condanna di Gesù. Per riconoscere quale fosse la vera Croce, il Vescovo di Gerusalemme, S. Macario, invocò il miracolo. Toccò successivamente con le croci una matrona moribonda e al contatto con la terza, la matrona guarì. S. Elena allora divise la croce in tre parti, una laconsegnò al Vescovo Macario, l’altra la inviò a suo figlio a Costantinopoli e la terza, chiusa da una custodia d’argento insieme al titolo la inviò a Roma, dove per custodirla venne costruita la Basilica Helaniana, detta anche Sessoriana, meglio nota con il titolo di S. Croce in Gerusalemme.
A sinistra:
(Olio su muro – 1661)
Recupero della Croce. L’imperatore Eraclio che porta la croce; il re dei Persiani Cosroe; il Patriarca di Gerusalemme Zaccaria, soldati e popolo.
Circa tre secoli dopo il ritrovamento della Croce, i Persiani rapirono da Gerusalemme la parte della Croce e se la portarono nella loro patria. Eraclio, imperatore di Costantinopoli, durante il terzo decennio del XVII secolo, lottò contro Cosroe, re dei Persiani, per il recupero della Croce. Riavutala la portò in atteggiamento penitenziale e con umili indumenti a Gerusalemme (perché con i paludamenti imperiali e a cavallo le porte della città gli si erano chiuse davanti). La reliquia fu riconsegnata al patriarca di Gerusalemme Zaccaria il 3 maggio del 630.
Nella nicchia sull’altare busto di papa S. Vitaliano (654 – 672) di Tommaso Gismondi
A destra:
(Olio su tela – fine XVII secolo) Giovanni Battista Gaulli (1639 – 1709), detto il Baciccio
San Francesco sul fuoco
A sinistra:
(Olio su tela – fine XVII secolo) Giovanni Battista Gaulli (1639 – 1709), detto il Baciccio
San Francesco sulle spine
Lunetta:
(Affresco – fine XVII secolo) Giovanni Battista Gaulli (1639 – 1709), detto il Baciccio
San Francesco riceve le stimmate
Cupola:
(Affresco – fine XVII secolo) Giovanni Battista Gaulli (1639 – 1709), detto il Baciccio
San Francesco entra in Paradiso
Altare donato dalla Confraternita della Buona Morte e consacrato il 14 settembre 1935 dal Vescovo Fulvio Tessaroli.
Crocifisso ligneo sec. XV proveniente dalla Cattedrale medievale. Molti documenti segnini e la letteratura locale lo dicono “miracoloso e amato dal popolo” per grazie ricevute in occasione di pubbliche e private calamità.
La chiesa di San Pietro, costruita probabilmente già in periodo altomedievale, riutilizza i resti del tempio dedicato a Giunone Moneta (II secolo a.C.), che occupava in maniera scenografica la grande terrazza dell’acropoli. Del tempio rimane il podio, che richiama l’opera poligonale di calcare, qui utilizzata in modo volutamente manieristico, con massi sagomati in maniera perfetta e bugnati, e la cella centrale in opera quadrata di tufo. Al di sopra si imposta la chiesa di S. Pietro, di cui rimane ben poco del primitivo impianto medievale. Al terzo decennio del XIII secolo devono riferirsi il campanile e il portale d’ingresso. Nella muratura del campanile sono visibili alcuni frammenti architettonici decorativi altomedievale, che attestano la presenza di un edificio di culto già in quell’epoca. Essi sono decorati a nastri viminei che si intrecciano tra loro, un frammento di un pilastrino proveniente dalla chiesa e con una simile decorazione è conservato al Museo Archeologico Comunale. Anche all’interno la chiesa conserva le murature del vecchio tempio, visibili sulla parete di sinistra e sulla parete di fondo. La chiesa è a navata unica, anche se sulla parete di destra sono ancora visibili tre grandi arcate, che probabilmente fanno pensare alla presenza di un’altra navata, di cui oggi non rimane più alcuna traccia. All’interno delle arcate, sono presenti degli affreschi, il più antico, nella prima arcata, alla fine del XIII secolo. Dalle visite Pastorali di Filippo Michele Ellis si rileva che a San Pietro si venerava la madre di Dio con il titolo di Madonna dei Monti, forse ad indicare che la chiesa sorgeva sul vertice del Monte Lepino. Dai lavori di restauro effettuati nel 1965, nel togliere gli stucchi che ricoprivano la parete sono stati scoperti alcuni affreschi, uno sulla parete sinistra e due sulla parete di destra, all’interno di archi aperti in epoca medievale. Sulla parete di fondo, all’interno dell’arco, vicino la parete, c’è l’affresco più antico del secolo XIII, raffigura una Maestà eseguita presumibilmente da un’artista di scuola grottesca, visibili i colpi del martello per attaccarvi l’intonaco, che hanno danneggiato l’opera. Sulla stessa parete, all’interno del secondo arco, un secondo affresco che raffigura San Sebastiano, ma questo è degli inizi del XV secolo (quando viva a Segni era la devozione per il Santo, sul portale d’ingresso della chiesa di Santa Maria degli Angeli si legge su un’iscrizione “DEO OPTIMO MAXIMO AC DIVO SEBASTIANO EX VOTO S.P.Q.S.) L’altro affresco sulla parete opposta, in una nicchia leggermente incassata nel muro, è della seconda metà del 1500 e raffigura una Madonna con il Bambino sul trono e ai lati due Santi Diaconi: Lorenzo e Stefano, sul lato sinistro in basso il profilo di un Santo con capelli e barba bianchi. All’interno della chiesa si conserva anche il busto argenteo di piccole dimensioni di San Gaetano, la cui festa cade il 7 di agosto. Come pala d’altare è posta una tela del Tadolini del 1907, il quadro che chiude la nicchia di San Gaetano è opera dello stesso artista del 1906. Seconda metà del 1500, olio su tela. Anonimo “Conferimento del primato dell’apostolo Pietro”. Infine, di Luciano Batoli sono due tavole lignee raffiguranti San Bruno e San Vitaliano, realizzate nel 1960.
Secondo la tradizione popolare, la chiesa di Santo Stefano sorge sui resti di un antica sinagoga, nel quartiere ebraico della città, questo giustificherebbe anche la dedica della chiesa al primo Santo martire di origine ebraica. Distrutta durante i bombardamenti della II Guerra Mondiale, fu ricostruita, lasciando della fabbrica originale soltanto il campanile romanico, ancora oggi visibile e probabilmente il più antico della città e alcune tracce di un portico, ancora visibili per alcuni tratti nella facciata esterna e in parte nei locali all’interno, che doveva trovarsi prima dell’ingresso della chiesa, anche questo dalla muratura può facilmente datarsi al XII – XIII secolo.
Costruita il 9 settembre 1713, quando era vescovo Filippo Michele Ellis, la piccola chiesa è a navata unica con sei cappelle laterali e un presbiterio separato dall’aula da una balaustra in legno.
Fu consacrata il 4 ottobre 1734 dal Vescovo Giovanni Battista Bisleti (1716 – 1749), deponendo nel piccolo riquadro, incassato al centro della mensa, le reliquie dei Santi Martiri Vincenzo, Placido, Sereno ed Emenenziana, evento ricordato da un’epigrafe lapidaria infissa sulla parete di fondo della chiesa. L’abbellimento della chiesa continuò nei secoli. Per ricordare l’unione dei dottrinari Agatisti con quelli Avignonesi voluta da Benedetto XIV con decreto del 15 dicembre 1747.
I cappella
(Olio su tela – seconda metà XVIII secolo) Anonimo romano
“Madonna con il Bambino tra gli Angeli e San Filippo Neri e San Gaetano da Tiene. In basso un angelo che scrive sul libro, il giglio e la corona regale, simbolo l’uno di purezza, l’altra di gloria mondana” Il dipinto viene associato alla scuola di Carlo Maratta (1625 – 1713)
(Olio su tela, cornice lignea sormontata da una croce – prima metà XIX secolo) Anonimo
“San Pasquale Baylon (1540 – 1592)
Il santo era patrono delle opere Eucaristiche e dei Congressi Eucaristici internazionali.
II cappella
(Olio su tela –metà XVIII secolo) Anonimo romano
“Transito di San Giuseppe”
Il dipinto viene associato alla maniera del pittore romano Francesco Trevisani (1656 – 1746). Raffigura la morte di San Giuseppe, steso sul letto, da un lato Gesù, con la mano destra benedicente e la sinistra attorno alla testa del morente, dall’altro la Vergine Maria che con una mano asciuga le lacrime e con l’altra regge un’ampolla. Dietro San Giuseppe un angelo ad ali spiegate, in alto la gloria di angeli. In basso un angioletto regge il bastone fiorito, che secondo la leggenda, fu il simbolo distintivo di Giuseppe designato sposo della Vergine.
(Olio su tavola)
“Immagine del Sacro Cuore”
III cappella
(Olio su tela –metà XVIII secolo) Anonimo romano
“Madonna del suffragio”
Madonna con la corona in testa, seduta sulle nubi con lo scapolare pendente. Alla sua destra San Giuseppe con il Bastone fiorito, alla sinistra Santa Teresa d’Avila con il dardo della trasverberazione che le trafigge il cuore. Sul retro una Santa che reca in mano una palma del martirio. Avvolte nelle fiamme, nella parte bassa del quadro, le Anime Sante del Purgatorio che supplicano e un angelo che afferra per un polso una di queste, indicandole la salvatrice.
(Olio su tela – seconda metà XIX secolo) Anonimo
“Santa Filomena”
La Vergine è rappresentata con la palma del martirio, fu infatti uccisa durante la persecuzione di Diocleziano, la freccia e l’ancora, gli strumenti del martirio e un fiore, simbolo di purezza. La testa della Santa è incoronata da fiori, i capelli sciolti nel petto, la mano destra indicante un embrice su cui si legge “LUMENA”, che ricorda le tre tegole di terracotta, che nella catacomba di Priscilla a Roma nel 1802 coprivano la tomba che allora si ritenesse appartenere alla martire Filomena, perché si volle interpretare l’incisione con “Pax tecum Filumena”.
Presbiterio
(Olio su tela – prima metà XVIII secolo) Odoardo Vinicelli (1681 – 1755)
“Incoronazione della Vergine”
Gesù in trono, con una mano poggiata sul globo, incorona sua madre tra angeli che suonano.
(Olio su tela –metà XVIII secolo) Anonimo (riconducibile al modo d’esecuzione al Vinicelli)
“Presentazione di Maria al tempio”
Maria inginocchiata davanti al sommo sacerdote, dietro Anna e Gioacchino, la cornice del dipinto è in stucco.
(Olio su tela –metà XVIII secolo) Anonimo (riconducibile al modo d’esecuzione al Vinicelli)
“Adorazione dei pastori”
Cornice in stucco.
I cappella
Crocifisso in cartapesta su legno – fine XVII secolo
II cappella
(Olio su tela – fine XVIII secolo) Anonimo di ambito laziale
“San Vincenzo Ferrer”
III cappella
(Olio su tela – seconda metà XVII secolo) Autore ignoto di ambito laziale
“Vergine Addolorata”
Il dipinto mostra una forte analogia con quello della scuola del Guido Reni (1575 – 1652), conservato a Firenze nella Galleria degli Uffizi: “Vergine in contemplazione”. È ritenuta dalla tradizione popolare un’immagine miracolosa e per questo motivo è molto adorata dai fedeli.
Volta della chiesa
“Croce nella Gloria”
Racchiusa da una cornice rettangolare costruita con listelli modanati di gesso con i lati brevi arcuati, la croce si impone tra nubi e una gloria di Angeli. Lungo l’arco della base del rettangolo un cartiglio reca la scritta “Fondamenta eius in montibus sanctis”, su uno dei ponticelli della base si legge CDC che sta per Congregazione Dottrina Cristiana, sul ponticello opposto una stella, simbolo di Maria, e infine sulla parte verticale del rettangolo la scritta INRI.
Sulla via di Roccamassima, preceduto da un viale alberato e da alcune immagini sacre dedicate ai santi dell’Ordine dei Cappuccini, vi è un convento con chiesa appartenuta già a quest’ordine.
La fondazione del convento risale al 1591. La chiesa venne consacrata nel 1641. Nella metà del secolo XVII divenne un celebre studentato di filosofia e teologia ed anche noviziato per giovani religiosi. Durante l’età napoleonica il convento entrò in crisi a causa dell’indemaniamento dei sui beni. Durante la Repubblica Romana, ritornarono i padri Cappuccini, dediti alla preghiera e alla carità popolare, ma furono nuovamente in difficoltà dopo le leggi della soppressione postunitaria degli ordini religiosi; successivamente essi si ristabilirono a Segni fin quasi ai nostri tempi.
La chiesa presenta una facciata rettangolare con portale classicheggiate e finestrone in pietra locale. L’interno ha una planimetria rettangolare scandita da archi a sesto ribassato.
Molto bello il coro ligneo. Per accedere alla parte conventuale vi sono due aperture sormontate da grandi reliquari lignei.
Bello il piccolo chiostro con tetti spioventi a capriate sostenuto da 12 pilastri con puteale al centro.
Il complesso dell’ex convento delle Suore del SS. Sacramento è un edifico che si trova nel centro storico di Segni, lungo via F. Petrarca e via A. Manzoni, adiacente piazza S. Lucia. È un edificio di dimensioni notevoli, che si sviluppa su quattro livelli e comprende ampi cortili ed orti che affacciano lungo la linea delle mura sul versante orientale (via dello steccato). Inglobata nel complesso del monastero è la chiesa dedicata a San Michele Arcangelo.
Il monastero, denominato appunto di San Michele, fu fondato nella prima metà del ‘700 da Suor Maria Violante Graziani, originaria di Veroli e chiamata a Segni da suo zio don Antonio Altieri, parroco di Santo Stefano. Suor Maria Vilante giunge a Segni nell’anno 1716, il suo istituto fu approvato il 18 luglio del 1742 da Benedetto XIV e la prima cerimonia di vestizione monacale avvenne il 15 agosto 1749.
Per la costruzione del monastero si impiegò pochissimo tempo e tanto l’allora vescovo, Francesco Bisleti (1726 – 1749), quanto il Comune e tutto il popolo di Segni vennero in aiuto con donazioni piuttosto generose.
Da alcuni documenti sappiamo che il nucleo originario del monastero comprendeva soltanto la parte del complesso che si affaccia sull’odierna via A. Manzoni, annessa alla piccola chiesa. L’edificio fu ampliato con il permesso del vescovo Pietro Antonio Luciani, utilizzando il denaro ricavato dalla vendita di alcuni beni appartenenti al convento di S. Marco, ormai soppresso.
Il libro del Monastero, infatti, riporta il rescritto del vescovo e in allegato conserva un foglio in cui la Segreteria di Stato di papa Pio VII concede, in data 6 marzo 1816, che alcuni beni dell’ex convento dei Padri Conventuali, rimasti invenduti, vengano impiegati per l’ingrandimento del Monastero. Il lavoro di ampliamento costò 2.000 scudi e fu eseguito da Benedetto Valenzi, capo mastro muratore, che in quegli stessi anni curò il restauro del Palazzo della Comunità e della facciata della Cattedrale di Santa Maria Assunta.
Il vescovo Alfonso Maria De Sanctis (1928 – 1933), sollecitato da molti segnini, presi accordi con la Casa Generalizia delle Suore del SS. Sacramento a Valenee-sur-Rhone, in Francia, e con la Casa Procura in Roma in via dei Riari, decise di unire le suore del monastero di San Michele con quelle del SS. Sacramento. In quegli anni, precisamente nel 1930, iniziò l’attività scolastica delle suore relativa all’Istituto Magistrale inferiore.
Ricostruita poiché rasa al suolo dal bombardamento del 7 marzo del 1944, i lavori per la nuova chiesa di Santa Lucia iniziarono nel 1951, secondo il progetto dell’arch. Antonio Provenzano, e fu consacrata nell’anno 1953, insieme alla casa parrocchiale e al teatro, che si trova al di sotto dell’edificio ecclesiastico. L’interno della chiesa è a tre navate, di cui quella centrale è più ampia rispetto alle due piccole navate laterali, separate da questa da una serie di arcate poggianti su pilastri. Il ciclo pittorico è dell’artista Michelangelo Bedini, che realizzò gli affreschi nel 1956. Essi raffigurano una scena di Annunciazione nell’arco del presbiterio, ai lati San Bruno e San Vitaliano e nel catino absidale, al centro Santa Lucia contornata di angeli, due dei quali in piedi e recano in mano un giglio, simbolo di purezza e una palma, simbolo del martirio. La chiesa di Santa Lucia è una delle più antiche di Segni, la storiografia locale, vuole che la chiesa originaria fosse stata edificata da papa Vitaliano (657 – 672). In quel periodo a Roma e nel Lazio era molto diffuso il culto dei martiri siciliani, in particolar modo di Lucia e Agata. Tra le cause del fenomeno vanno segnalate le relazioni dei papi con gli amministratori del vasto patrimonio della chiesa romana in Sicilia. Inoltre, sappiamo dal Liber Pontificalis, che papa Vitaliano aveva per primo riaperto i rapporti con l’imperatore di Oriente, che aveva la sua reggia a Siracusa, la patria di Lucia, martirizzata durante la persecuzione di Diocleziano. L’originaria struttura, inoltre, era posizionata in maniera diversa rispetto al moderno edificio, la chiesa doveva trovarsi dove ora è situato il Palazzo divenuto recentemente la sede della XVIII Comunità Montana dei Monti Lepini – Area Romana. Nella chiesa di SanTa Lucia si dice che il 22 febbraio 1173, Alessandro III vi canonizzò T. Becket, è nominata nella bolla pontificia del 1182. Il Lauri ci informa che era una delle prime chiese di Segni e che nella sua cripta vi erano pitture antichissime. Il campanile era dell’anno 1478, come si leggeva scolpito in uno dei cantonali alla base della struttura. Fu ricostruita ancora una volta nella seconda metà del XIX secolo, consacrata il 7 settembre 1862 dal Vescovo Luigi Ricci e ancora negli anni ’30 dello scorso secolo fu restaurata dal parroco Bruno Fagiolo, che commissionò al pittore Vittorio Birsia, l’affresco raffigurante Santa Lucia nel Catino absidale, la vecchia chiesa aveva una sola navata e quattro cappelle laterali.