Grande edificio del ‘700, l’Ex Granaio Borghese fu costruito dai principi Borghese, signori di Artena, ed ha mantenuto la sua funzione originaria fino agli anni cinquanta. Il periodo più florido del palazzo è stato certamente quello a cavallo tra il XIX e il XX secolo, quando tutti i contadini della zona venivano a riporre il loro grano in questo immenso caseggiato che si trova in pieno centro urbano, nella parte bassa del paese, in Via Alessandro Fleming.
Oggi l’edificio ospita uno dei più importanti musei archeologici della zona dedicato a Roger Lambrechts, un piccolo gioiello incastonato nelle sale, altrettanto belle e profumate di storia, e allo stesso tempo, sede del consiglio comunale e di particolari avvenimenti culturali.
Il Palazzo Borghese è l’unione di due antichi corpi di fabbrica, appartenuti ai precedenti padroni di Montefortino, ossia i Colonna e i Massimo. L’ala ovest del palazzo, corrispondente al vecchio palazzo dei Colonna, merita una particolare attenzione, in quanto conserva tracce della fabbrica più antica, databile attorno al XIII secolo. Si tratta di una serie di arcate su cui era impostato il vecchio nucleo abitativo. Sul prospetto del palazzo rivolto verso valle è inoltre visibile un’altra serie di archi, ormai tamponati, stretti e alti, in muratura bicroma, aventi in passato funzione di rinforzo e di contenimento del muro. Sempre al XIII secolo sembra appartenere una torre, realizzata in grandi blocchi squadrati, la cui base è visibile nei sotterranei del palazzo, all’interno dell’ex stalla dei Colonna. Nel XVI secolo, grazie ad alcuni disegni degli architetti Carosi e Mariotti, il palazzo dei Colonna e quello dei Massimo sono ancora divisi, congiunti solo dal cortile interno, il cui uso era probabilmente comune. Anche dopo l’acquisto di entrambe le proprietà da parte di Scipione Borghese, soltanto piccole opere di mantenimento furono effettuate, anche se nel 1615 e nel 1617 ospitò la corte pontificia. Furono probabilmente le visite di Paolo V, che spinsero il cardinale, suo nipote, a intraprendere un più vasto programma edilizio. Scipione incaricò il Vasanzio, attivo nel palazzo fin dal 1615, di procedere all’unificazione dei due palazzi e di dotare l’edificio di stalle adeguate e di ricevere in futuro, in maniera più degna, la corte papale. L’unificazione, non aveva solo il programma di aumentare le stanze, ma anche quello di realizzare un prospetto unitario che simboleggiasse il potere, anche economico, del feudatario. Con questo intento il Vasanzio progettò la nuova loggia, iniziata presumibilmente nell’estate del 1616 e terminata soltanto nel 1623, come testimonia l’epigrafe che vi fu apposta, per cui furono pagati nel 1624 gli scalpellini Andrea del Piano e Nicolò de Iacobis. La galleria, che si sviluppa su tre ordini, non solo unifica i due palazzi, ma ha il suo lato maggiormente decorato all’interno del cortile del palazzo, dove è facilmente visibile dalle stradine che si trovano poco più in alto. Alla morte del Vasanzio, ai lavori subentrarono gli architetti Bolini e Battisti, che costruirono la grande scala ellittica, che dalla strada porta direttamente al piano nobile, rispondendo all’esigenza di dotare gli appartamenti dotati al Principe di un ingresso separato e di un ingresso monumentale. Accanto a questi lavori, vi furono anche interventi più strutturali, come ad esempio la rifoderatura della facciata Nord, mediante l’aggiunta di due grandi speroni, tuttora visibili. La facciata qui ha un aspetto piuttosto severo, scandito soltanto da ordini di finestre dalle semplici cornici di pietra. Nel 1623 l’attenzione di Scipione Borghese si era soffermata sulla loggia, degnamente affrescata, e questa attenzione può spiegarsi, in parte, con il nuovo rapporto visivo che si instaurava tra questa e la strada sottostante, ossia la salita di accesso al castrum che in quegli stessi anni andava rialzando il nuovo borgo, che sorgeva contemporaneamente proprio ai lati di quella, si sarebbe sviluppato proprio sotto gli occhi benigni del principe. La decorazione della cappella di Paolo V o “appartamento del cardinale”, come ricordato da documenti dell’epoca (in effetti quando il palazzo ospitò il pontefice, la stanza non aveva ancora questi affreschi). La stanza si trova tra la loggia dipinta e la più grande sala del biliardo. La stanza presenta un soffitto ligneo dipinto, composto da sette riquadri rettangolari di dimensioni varie. Il riquadro centrale mostra tre amorini insieme ad un’aquila coronata e un drago che sollevano in volo un cappello prelatizio (esaltazione dello stemma del cardinale Borghese). Ai lati due riquadri in cui due amorini espongono un ovaleraffigurante una scena mitologica, da una parte vediamo Apollo che scuoia Marsia, dall’altra Minerva nella fucina di Vulcano. Entrambe le scene intendono sottolineare i costumi retti del cardinale e la sua morigeratezza, infatti, si tratta di due esempi in cui il vizio viene sconfitto dal merito, in cui la passione è vinta dalla ragione. Minerva e Apollo sono contrapposti a Vulcano e a Marsia per sottolineare le qualità e l’integrità morali del cardinale. Gli altri riquadri raffigurano ciascuno due amorini che si librano nell’aria spargendo fiori e alludono all’amore in senso platonico, amore che protende al bene e al bello. Autore dei riquadri del soffitto è Francesco Timicelli, che lo realizzò tra il 1623 e il 1624. Così negli sguinci della porta d’ingresso alla cappella vi sono raffigurati altri quattro ovali, in cui sono rappresentati Ercole che combatte con il leone Nemea, in basso la dea Diana (la caccia di Ercole al leone, le fatiche di Ercole viste come prove dell’animo umano deve superare per liberarsi dalle passioni e dalla schiavitù del corpo, si rispecchia nella figura di Diana, la cui fiera verginità ne faceva un prototipo di disciplina delle passioni); dall’altro lato Ercole e Anteo e sotto Andromeda incatenata alla roccia.
Anch’esso opera del Vesanzio, si trova di fronte al Palazzo Borghese, in Piazza della Vittoria, costruito nel XVII secolo, fu sede della pubblica amministrazione di Montefortino, abitazione del governatore i carica e carcere per i condannati. È ornato sulla facciata da cordoni e fasce di tufo.
Nel progetto di riqualificazione di Montefortino la fabbrica dell’Osteria riveste un ruolo di primo piano. Un’osteria esisteva a Montefortino ancora prima che questa venisse acquistata dai Borghese. I lavori all’osteria documentati nell’archivio Borghese per il 1616 devono riferirsi a quella fabbrica che non sarà demolita. La costruzione della nuova Osteria iniziò nel 1620 e il progetto può essere attribuito al Vasanzio, che morì il 21 agosto 1621 e poté seguire i lavori solo in parte, poiché questi si protrassero almeno fino al 1623. L’osteria aveva una pianta quadrangolare con il lato lungo disposto sulla via latina, originariamente aveva due ordini di arcate per ogni lato, al pian terreno si aprivano i caratteristici archi fatti ad ottagongolo, mentre il piano superiore era ad archi a tutto sesto. Ogni lato presentava quindi un porticato nella parte bassa e un loggiato in quella alta. Già nel corso del ‘600 la struttura subì delle modifiche: nel prospetto verso il monte al paino terra furono chiusi otto arcate allo scopo di ricavare una stalla. Nel prospetto principale furono lasciate aperte sei delle otto arcate del piano superiore, mentre al piano inferiore furono risparmiate solo due arcate centrali, che servivano da ingresso. La costruzione era completata da quattro torrette angolari di pianta quadrata, che allora si ergevano isolate, e che oggi si vedono inglobate nel secondo piano, frutto di un rialzamento ottocentesco. Le trasformazioni subite all’interno sono state anche maggiori, in parte dovute ad un diverso utilizzo che si è fatto dei locali nel corso dei secoli. I lavori di rifacimento dell’osteria cominciarono dopo il 1620 (in verità i restauri della via consolare erano partiti già nel 1612, ma si erano concentrati solo sul ponte di Ceprano, i cui lavori furono affidati alla direzione del nipote Scipione Borghese) , anno in cui il pontefice Paolo V iniziò il restauro della via Latina (anche se il numero delle stanze risulta comunque sproporzionato rispetto alla frequentazione dei viaggiatori sulla via Latina nel XVII secolo: si preferiva l’Appia). Non si può inoltre, sottovalutare l’importanza dell’arrivo del giubileo del 1625, che avrebbe condotto a Roma numerosi pellegrini, provenienti anche da sud. Inoltre il Procaccio, il servizio postale che collegava Roma con il Meridione, al tempo di Paolo V, sfruttava il percorso che da Velletri passava per Cisterna e Sermoneta e raggiungeva Terracina, ma il percorso alternativo, definito nuovo, correva a sud di Montefortino, nel territorio del diruto castello di Torrecchia. I vantaggi che potevano provenire all’osteria di Montefortino dall’introduzione del Procaccio erano notevolissimi: i viaggiatori privilegiavano le locande e le osterie in prossimità delle stazioni di posta, perché erano notevolmente migliori di qualità. Interesse dei Borghese per la via Latina è anche da ricollegare all’attenzione che il pontefice rivolge all’Abbazia di Rossilli, posta in prossimità della strada, come dimostrano le varie iscrizioni e dal fatto che all’epoca Antonio Tani, abate di Rossilli, era intimo amico del Pontefice.