Questi pregiatissimi funghi sotterranei a forma di tubero, erano già apprezzati in Grecia e nella Roma antica. Nerone li definiva “cibo degli dei”. Apicio, nel più importante trattato di arte culinaria, non solo dell’antichità, parlò con enfasi dei tartufi, che entravano, già allora, in molti piatti. Nei secoli successivi, furono tra gli ingredienti fondamentali nei menù delle feste organizzate da Donna Olimpia Aldobrandini, signora di Carpineto.
Infatti, le proprietà chimiche del terreno a struttura carsica, nonché le caratteristiche fotoclimatiche dei Monti Lepini, portano a maturazione eccellenti esemplari di tartufo nero pregiato tra i più profumati d’Europa. Le pezzature, medie o grandi, sono determinate dall’abbondanza delle piogge. Allorché la quantità delle precipitazioni sono favorevoli, tra i boschi e le radure di lecci, querce, cerri, in simbiosi con ulivi, viti, rose selvatiche, allignano i prelibati tuberi. A prima vista, il tartufo non ha un bell’aspetto, presentando protuberanze irregolari. Ma sotto la scorza rude e il colore nero, non accattivante, si nascondono sorprendenti prelibatezze. Appena raccolti e spazzolati, effondono profumi intensi e delicati nello stesso tempo. In estate si trova lo “scorzone” (tuber aestivum vittad), che tra gli altri, ha il pregio di avere un costo più accessibile del re della gastronomia, il tartufo nero pregiato (tuber melanosporum), che matura nei mesi invernali.
Il primo impatto con i funghi è visivo. Ogni specie ben si mimetizza nel contesto ambientale: il rosso uovo e il bianco dell’ottimo ovulo, il color scuro bronzeo del boletus aereus, il giallo del galletto, il grigio ricamato della superba mazza di tamburo. Ciascun fungo si caratterizza per uno specifico profumo, che si mescola con l’odore sia del terreno, ricco di muffe, sia del muschio e delle felci. L’habitat ideale è il sottobosco dei castagni, dei carpini, dei lecci e dei faggi. Non vogliono essere disturbati. Mai smuovere il terreno, o peggio, rastrellare il letto di foglie. Chi è dotato di buon olfatto, avverte la presenza annusando la leggera brezza. In primavera, tra i biancospini in fiore, sotto l’ombra dei peri e dei meli, si nascondono tra fiori ed erbe inumidite dalla pioggia i rari prignoli (tricoloma georgi) dal profumo inebriante e dal sapore impareggiabile.
A Carpineto sono presenti numerosi uliveti. Coltura millenaria, nel corso dei secoli le piante messe a dimora servivano anche a bonificare i pendii dei monti. Oggi i frantoi locali sono stati chiusi e gli olivicoltori locali portano le olive per la molitura nelle vicine Maenza e Roccagorga. Ma l’olio ottenuto, dal sapore particolare, differente dagli altri oli lepini, è un prodotto di nicchia, che si può acquistare presso qualche produttore al momento della molitura.
Il latte ha sempre rivestito un’importanza centrale nella vita dell’uomo. Rappresenta infatti, fin dai primi mesi di vita, l’alimento principale per il nostro sostentamento. Proprio dall’esigenza di conservare intatti ed a lungo i valori altamente nutritivi del latte, si è dato inizio alla produzione di formaggio.
Le tecniche di caseificazione, furono messe a punto dagli Etruschi. Presso i Greci e i Romani, il formaggio rappresentava l’alimento quotidiano principale, tanto che il nome sembra derivare dal latino popolare “formaticum”, che tradotto alla lettera significa “latte coagulato dentro una forma”. Nell’età imperiale il formaggio era presente nei banchetti con raffinate preparazioni culinarie. Nel Medioevo fu la Chiesa che conservò il segreto della sua produzione e successivamente, nel periodo del Rinascimento, lo diffuse in tutta Europa.
Dal punto di vista nutrizionale, il formaggio, è molto importante per il suo alto valore energetico, in quanto ricco di grassi, proteine e sali minerali. Le numerose varietà di formaggi e il loro valore alimentare dipendono dal tipo di latte impiegato e dal metodo di lavorazione, che permette di classificarli secondo vari criteri: crudi, semicotti e cotti; con acidità naturale o di fermentazione; a maturazione rapida, media o lenta; grassi, semigrassi e magri.
La produzione si svolge seguendo le operazioni di caseificazione, salatura, maturazione o stagionatura.
Nella caseificazione, al latte intero (o scremato), riscaldato a 30-35°C, viene aggiunto il presame o caglio, (in dialetto quaglio, ricavato dalla parte finale dello stomaco dell’agnello essiccato e macinato), che ne coagula la casina formando una massa gelatinosa (cagliata), la quale contiene grassi, sostanze minerali, coloranti e lattosio. Essa viene poi frantumata, per eliminare il siero latteo, con l’aiuto di un bastone dentato (menaturo), che la riduce in granuli caseosi di grossezza variabile dal chicco di riso alla noce. Quindi, per i formaggi a pasta dura, segue la cottura lenta per la completa eliminazione del siero. Alla fine, mentre il siero rimane in caldaia, i granuli vengono estratti in apposite tele e riversati negli stampi (casso), collocati su tavoli inclinati e scanalati (spianatore) e sottoposti a pressione, affinché possa fuoriuscire il residuo siero latteo.
La salatura dà sapore al formaggio, completa l’eliminazione del siero e regola il corso della maturazione. Può essere fatta a secco, applicando il sale fino e asciutto sulle forme, più volte, a intervalli di qualche giorno, oppure in salamoia, per una durata che varia a seconda dei formaggi, da pochi minuti a molti giorni.
Con la maturazione (o stagionatura), che può essere naturale o artificiale, gli agenti fermentati contenuti nella pasta fresca operano profonde modificazioni di composizione, consistenza, colore, odore e sapore, caratterizzandone la tipicità.
Secondo quanto emerso dagli “Statuti ed Ordinanze della Terra di Carpineto” (1556) la sua presenza nei Monti Lepini risale alla metà del XVI secolo e forse anche al Medioevo. Secondo altre testimonianze storiche risalenti al 1500, si fa riferimento ad un suino nero importato dalla Cina dalla famiglia Caetani proprietaria del ducato di Sermoneta dal 1276. L’areale di allevamento dell’animale è il sud del Lazio e in particolar modo il comprensorio dei Monti Lepini. Il peso medio per la femmina è 118 Kg mentre per il maschio si arriva ai 205 Kg. Un’altezza per la femmina che raggiunge i 72 cm al garrese e gli 83 cm per il maschio. Ha una carriera produttiva di 6-8 anni. Le sue carni sono segnalate come prodotti tradizionali del Lazio ai sensi del D.M. 350/99.
Fin dai tempi più antichi, le carni suine erano considerate una ghiottoneria, sia consumate fresche che conservate.
Una volta la carne dei bovini era poco usata. Come possenti macchine da lavoro, erano sfruttati fino al limite delle loro forze ed erano macellati solo quando erano decrepiti, malati, esauriti dalla fatica. Per questo motivo, alla loro carne, quasi sempre scura e tigliosa, si preferiva quella dei suini, dei volatili da cortile e della selvaggina. Inoltre godevano (e godono tuttora) di una giustificata notorietà l’agnello e il capretto, cresciuti sui profumati pascoli montani. Ugualmente apprezzate le frattaglie, sia chiare (cervello, animelle, schienali) che scure (fegato, cuore, rognone, polmone) che, sapientemente cucinate, costituiscono ancora un cibo sapido e nutriente.
La castagna è la regina autunnale di Carpineto. E’ un frutto che ha segnato la storia alimentare di queste terre. La polpa è ben protetta da una buccia esterna marrone e da una pellicola amara all’interno che va tolta. La pasta del frutto è bianco-avorio. Hanno un sapore morbido e un odore inconfondibile. Allorché, agli inizi di ottobre, i ricci incominciano ad aprirsi, vengono consumate bollite, oppure cotte su vivaci bracieri, ottenuti da legna di leccio o meglio ancora di corbezzolo. Il profumo si spande tra strade, vicoli e piazze. Le castagne, così cotte, infondono buonumore ed allegria, ravvivano le amicizie. Meglio ancora se sono accompagnate da un leggero vino novello. E’ buona norma acquistarle direttamente dai proprietari o dai grossisti al momento della raccolta. La più importante è il marrone, che ha un frutto grosso, rotondeggiante, con il pericarpo più pallido, caratterizzato da strie meridiane più scure e da un sapore squisito. Per la loro conservazione è bene “lavorarle” dopo averle messe in acqua, fatte asciugare e continuamente rigirate. Così trattate mantengono a lungo le loro proprietà gustative ed olfattive.
Vera regina della tavola carpinetana è la ciambella, o più semplicemente la ciammella. Ha una fragranza assolutamente inconfondibile, come inconfondibile è la forma e il sapore. Sono stata tentate imitazioni, ma senza successo. E dire che gli ingredienti sono semplicissimi: si devono amalgamare, nella giusta proporzione, farina di grano tenero, olio extra-vergine d’oliva, anice, sale, acqua e lievito naturale. Una volta ottenuto l’impasto e ritagliatovi una parte, tanto da farne un piccolo pane di circa 20 cm con un diametro di qualche centimetro, il segreto sta nell’unire gli estremi e, con un colpo ben calibrato con l’interno della mano, far acquistare la caratteristica forma a ciambella. Dopo essere stata “scottolata“ in acqua bollente, viene messa nel forno a legna. Va sfornata allorché acquista un colore dorato. Ottime mangiate ancora calde, anche se mantengono la loro fragranza a lungo, oppure intinte nel vino o nel latte. Si possono acquistare nei negozi e nei laboratori di Carpineto, dove possono essere trovati altri tradizionali prodotti da forno, altrettanto saporiti e genuini: giglietti, santamarta, crostate con confetture di frutta e di frutti di bosco.
Ingredienti: 4 uova, 5 cucchiai di zucchero, 4 mezzi gusci di olio, 3 etti e mezzo di farina, mezza bustina di lievito, 1 limone, liquore a piacere.
Amalgamati tutti gli ingredienti si ottiene un impasto non troppo denso. A questo punto con l’aiuto di un cucchiaio si formano delle palline che vengono immerse in olio bollente. Una volta ben dorati e cotti vengo posti su fogli di carta pane. Fatti raffreddare possono essere spolverati con zucchero o passati al miele. Tipico dolce di carnevale.
Tipico dolce natalizio di frutta secca.
Lasciare ammorbidire l’uvetta in una ciotola d’acqua tiepida per trenta minuti. Strizzarla e asciugarla su carta da cucina. In una casseruola mettere lo zucchero, il miele, quindi aggiungere noci, mandorle, nocciole, pinoli, uvetta, infine il cioccolato fondente tritato e la farina setacciata. Mescolare bene fino a quando il composto risulterà ben amalgamato. Suddividere l’impasto in porzioni, infarinarle e modellarle con le mani a forma di piccoli panetti. Eliminare la farina superflua, disporre i panetti sulla placca del forno e cuocerli a 170° per venti minuti. Una volta raffreddati si possono servire tagliati a fettine e accompagnati da un vino dolce. Si conservano anche per diversi mesi avvolti in carta pergamena.
E’ un dolce del tutto particolare sia come gusto, sia come forma, che si mangia durante il periodo di natale ma non solo. Appartiene alla più genuina tradizione gastronomica di Carpineto ed oggi, questo dolce dal sapore esclusivo, è stato rivalutato e viene riproposto dalle sette hostarie dei Rioni Storici, durante i festeggiamenti del Pallio della Carriera, e nelle varie sagre ed eventi gastronomici. Gli ingredienti sono semplici e genuini: farina, uova, uva sultanina, lievito, e, forse l’elemento vincente, patate lessate e tritate al passatutto. Il tutto viene amalgamato e fatto riposare, aggiungendovi una piccola dose di liquore. Quindi vengono ritagliati dei pezzetti di massa, stesi ed arrotolati come gli gnocchi lunghi. Questi ritagli di pasta vengono attorcigliati o ritorti irregolarmente, fatti friggere in abbondante olio d’oliva e cosparsi di zucchero.
Dolce tipico della tradizione locale che non poteva mancare negli appuntamenti più importanti della vita (matrimonio, battesimo, ecc.).
Ingredienti: 3 uova intere, 250 gr di zucchero e una grattata di buccia di limone; 250 gr di farina che si aggiunge dopo aver battuto uova e zucchero.
Mettere su una teglia da forno imburrata una cucchiaiata di impasto per biscotto, facendo attenzione a distanziarle tra loro. Infornare, a forno caldo, a 180° per 15 minuti circa.