Daniela Salvi
Il valore riconosciuto ad aspetti riguardanti il patrimonio degli odierni Monti Lepini sembra trovare un primo riscontro grafico nelle mappe storiche delineate a partire dalla fine del XVI secolo, nelle quali si riflette il pensiero umanistico dell’epoca, particolarmente interessato all’antico.
La carta di Abramo Ortelius[1] del 1595 e quella di Filippo Clüver del 1624[2] ricordano fin d’ora la maggior parte dei centri originari del territorio considerato, quali Cora, Norba, Signia, Sulmo, Setia, Privernum. Insediamenti presentati in seguito anche da altri cartografi[3], spesso insieme al tratto dell’antica via Appia passante nei bassopiani pontini, il quale, nonostante i frequenti impaludamenti (cominciati prima del V secolo d.C.), era comunque menzionato in età moderna da eruditi come Stefano Pighius, che lo definisce «superbo rettifilo»[4].
Di questo tratto della celebre peninsulare la pianta di Athanasius Kircher del 1671[5] offre un’immagine ingigantita che ne evidenzia il selciato e lo sviluppo lineare, oltre i due canali navigabili laterali, forse memore delle descrizioni lasciate da Orazio e Plinio il Vecchio. Appare comunque chiaro che la scelta di ingrandire nel contesto della stessa rappresentazione anche i resti di acquedotti riveli l’intenzione di esprimere il valore storico delle strutture così indicate, tra le quali è appunto l’Appia.
La coscienza del prestigio della via romana pare ravvisarsi anche in una carta reputata del 1600, lontana dal repertorio della topografia storica, essendo presumibilmente di corredo a un inventario di beni esistenti in alcune località della piana pontina, come il «campo» dell’insediamento lepino di Sezze (vedi figura a pag. 118)[6]. Nonostante il genere popolare della mappa, la raffigurazione della consolare mostra un significativo carattere monumentale, presentandosi come se fosse una targa commemorativa, con grandi dimensioni, uno sviluppo regolare e parallelo ai bordi della carta, e soprattutto con una scritta a caratteri cubitali che, alla stregua di un’epigrafe, si estende al suo interno per l’intera luce disponibile. La scritta indica «LA SELICE DE LA VIA APPIA» e ai lati della parola ‘Appia’ compaiono il prospetto della «torre di S. Lonardo» e quello della «torre di tre Ponti», i quali si distinguono per grandezza rispetto alle immagini di altri edifici, forse per esaltare le due torri in quanto presidi posti a difesa della strada. D’altro canto, un giudizio di valore sembra
trapelare anche quando la figurazione risulta più dettagliata, come nel disegno della «chiesa di santo Lonardo» nell’omonimo pantano.
In questo periodo i bassopiani pontini, da poco prosciugati per volontà di Sisto V (1585-1590), tornavano ad essere di nuovo impaludati. Malgrado ciò, diverse mappe del tempo esprimono la gratitudine delle comunità locali verso il pontefice, sentita anche per il suo impegno nella
riduzione del banditismo. In due rappresentazioni grafiche di tipo popolare, ritenute del 1600, questa devozione è manifestata rispettivamente mediante annotazioni e immagini della tiara papale poste in corrispondenza dei luoghi delle sue soste (fig. 1a e 1b)[7], e mediante la raffigurazione del padiglione dove ha alloggiato, nei pressi del fiume a lui intitolato[8]. Quest’ultima circostanza è stata poi ricordata nella pianta di Cornelio Meyer del
1678[9] – allegata al progetto di bonifica delle paludi pontine approvato da Innocenzo XI (1676-1689) –, nel foglio IV della pianta di Giacomo Filippo Ameti del 1693[10], e in uno schizzo considerato dello stesso anno, chiamato «Abbozzo del Circondario delle Paludi Pontine» (fig. 2)[11].
Il sentimento popolare echeggiato in queste carte deve aver unito abitanti di agglomerati che nella realtà dell’epoca appartenevano di fatto a potentati diversi. Uno schizzo del 1702, ad esempio, legato a una controversia tra la comunità di Sezze e il duca di Sermoneta Michelangelo Caetani, mostra ben distinte le tenute dei due contraenti nella piana Pontina (fig. 3)[12]. Rispetto alle costruzioni presenti in quel tempo nella zona, sebbene in quantità esigua, sono qui ricordate solo alcune torri, probabilmente per evidenziare le fortificazioni poste a difesa dei poderi. Ugualmente contenuto circa l’indicazione delle strutture esistenti è il citato ‘abbozzo’ del 1693 (fig. 2), che tuttavia mostra gli «archi di S. Cecilia», ovvero i resti di un ponte romano chiamati soprattutto archi di San Lidano; un’opera ricordata forse per la sua valenza storica, visto che compare anche in una carta del XVIII secolo attenta al patrimonio del passato[13], come pure in altre mappe dell’epoca[14].
Al di là della memoria dell’antica struttura, si riscontrano significative analogie tra i due schizzi del 1693 e del 1702: nella visione prospettica, nella schematicità, nella stringata selezione degli aspetti riprodotti, nell’indicare questi per mezzo di lettere associate a una breve legenda, e nel rappresentarli con una tendenziale conformità persino nella inclinazione dei segni che delineano i principali tracciati viari e fluviali. Appare dunque possibile la presenza di un modello di base comune, forse identificabile con una delle due suddette mappe del 1600[15], particolarmente simile ai due schizzi. Del resto, l’impiego di grafici di riferimento nella stesura di carte riguardanti le paludi pontine si deduce anche dall’analisi di altre due rappresentazioni coeve[16], accomunate da numerosi aspetti e la cui impostazione prospettica è peraltro simile a quella dei tre disegni considerati. Più in generale, tutte queste raffigurazioni fanno parte delle molte vedute a volo d’uccello eseguite in età moderna spesso per controllare gli acquitrini e gli aspetti connessi al loro stato[17]. Si tratta di disegni che inquadrano il complesso dei Lepini dal mare offrendo un’immagine unitaria del versante aggettante sulla pianura pontina. Un’immagine che nel suo ripetersi deve aver influito nel modo di percepire e concepire il paesaggio di questa parte del territorio, come dimostrerebbe il suo affermarsi specialmente nelle vedute più accurate e scenografiche, che in quanto tali esprimono più di altre la coscienza che si aveva del luogo.
Tra esse troviamo la celebre rappresentazione di Francesco Contini del 1659 (figura in calce al saggio)[18] e una carta di tipo popolare del 1697[19]. In entrambe la strada ai piedi dei Lepini – utilizzata per collegare Roma al meridione prima che si costruisse il nascente approccio scientifico alla topografia storico-archeologica[22]. Nel mostrare i beni delle relative comunità, entrambe ricordano piccoli reperti del passato ignorati dalle contemporanee carte storiche, e presumibilmente conosciuti in gran parte attraverso il rapporto diretto con il territorio. Dal modo di presentarli emerge, oltre alla consapevolezza del loro valore storico, anche un senso di appartenenza che pare rendere più viva la memoria dell’antico e la coscienza della sua importanza nel patrimonio di un luogo.
NOTE
* In questo testo si riassume uno dei temi considerati nella ricerca sui Sistemi di difesa e fortificazioni nei Lepini (2008) elaborata per il Consorzio delle Biblioteche e Musei del Sistema Museale dei Monti Lepini, coordinata da Anna Di Falco, che ringrazio per il costante impegno.
1 Su tale carta, si veda in questo volume, nella sezione riguardante i Documenti, la scheda relativa a cura di C. Parolini.
2 La carta è pubblicata in Frutaz 1972, vol. II, tav. 61.
3 A riguardo, si veda la carta del territorio di Roma pubblicata da Innocenzo Mattei (1674), che Almagià attribuisce a Luca Holstenio, ritenendo opera del Mattei soltanto le coordinate e i testi di carattere storico-geografico (cfr. Brandizzi Vittucci 1968, pp. 9-10; Frutaz 1972, vol. I, pp. 65-67; vol. II, tav. 156). Si vedano inoltre la mappa di P. Van der Aa, Latium Campania te Samnium (1699), edita in Tetro 2009, p. 15; le carte di G. Delisle (1711, 1745) e di G.B. Ghigi (1777), riprodotte rispettivamente in Frutaz 1972, vol. II, tavv. 185 e 200; e infine, nella sezione Documenti, si vedano le schede di carte storiche compilate da C. Parolini.
4 La citazione del Pighius – riportata nel suo Hercules Prodicius, Antuerpiae, 1587, p. 224 – risale al suo viaggio del 1575 (cfr. Sterpos 1966, pp. 129-130).
5 Cfr. qui nei Documenti la scheda relativa ad opera di C. Parolini.
6 La mappa è senza scala di rappresentazione e indicazioni dell’orientamento; presenta invece una legenda succinta, chiamata «Extractu ab inventario». Non mostra l’anno in cui è stata redatta; la data 1600 è riportata nell’inventario della collezione di cui fa parte. Su questa carta, si veda Carta, Salcini Strozzi 1994, p. 63, fig. 26; Rocci 1995, fig. 1 a p. 336.
7 La carta è senza scala di rappresentazione né indicazione di orientamento. Non riporta l’anno in cui è stata eseguita; la data 1600 è indicata nell’inventario del fondo di cui fa parte. Mostra in modo tendenzialmente realistico la morfologia del territorio, corsi d’acqua, pantani, tenute, presidi, torri e gli insediamenti di Sermoneta, Monticchio, Bassiano, Sezze, Mola, Case Nove, Piperno, Fossanova, Sonnino. Si distinguono inoltre altri centri abitati riconducibili a Ninfa, Maenza e Prossedi. Le informazioni sulla viabilità sono quasi del tutto assenti, eccetto scarse tracce della pedemontana e la chiara rappresentazione di ponti e del rettilineo dell’Appia. Si veda Chiari 1990, pp. 70, 95; Rocci 1995, fig. 3 a p. 337; Grossi 1997, pp. 11-12, 47.
8 Su questa carta (ASR, Disegni e Piante, Paludi Pontine, coll. I, cart. 51, n. 16/I, attualmente non visionabile), si veda Giaffei 1990, p. 84, tav. XXII,1 a p. 132; Chiari 1990, p. 71; Carta, Salcini Strozzi 1994, p. 63, fig. 27.
9 La carta è riprodotta in Frutaz 1972, vol. II, tav. 159.
10 Tale foglio è pubblicato in Frutaz 1972, vol. II, tav. 177.
11 Il titolo è riportato sul verso della carta, preceduto da «Numero 7 [parola cancellata]». La rappresentazione grafica, corredata da una breve legenda, è senza scala né indicazioni dell’orientamento, ed è inoltre priva di data; mentre nell’inventario del fondo cui appartiene è attribuita la data 1693. Il disegno presenta gli agglomerati di Cori, Norma, Ninfa, Sermoneta, Monticchio, Sezze, Piperno, S. Martino, Fossanova. Su questa mappa, si veda cancellieri 1990, fig. 2 a p. 145; Giaffei 1990, p. 84, tav. XXII,2 a p. 132; Rocci 1995, fig. 1 a p. 301, p. 511 e fig. 6 a p. 564; Lilli 1996, nota 13, fig. 3.
12 Il disegno è allegato al documento riguardante la citata controversia (ASR Camerale II, Paludi Pontine, b. 15, cc. 2059rv e 2068rv) e al relativo summarium (cc. 2062r-2066r, 2067v). Privo di scala di rappresentazione e di indicazione dell’orientamento, mostra gli insediamenti di Ninfa, Sermoneta, Monticchio, Sezze e Piperno. La breve legenda di cui è dotato chiarisce che i colori bianco e giallo corrispondono rispettivamente al «Territorio Caetani» e a quello di Sezze.
13 Ci si riferisce alla Pianta del campo inferiore di Sezze (1777), per la quale si veda nella sezione Catalogo la scheda relativa a cura di C. Parolini.
14 A riguardo, si vedano la citata carta di Meyer e alcune mappe realizzate tra il 1632 e il 1795, esaminate in Lilli 1996, pp. 47-50, note 12, 13, 15, 18 e figg. 3, 4, 5.
15 Ci si riferisce alla mappa indicata nella nota 8.
16 Si tratta di due vedute delle campagne di Sermoneta e Sezze, datate rispettivamente 1697 e inizi XVIII secolo. Si veda nella parte del Catalogo la scheda riguardante la prima di esse, a cura della scrivente.
17 Si vedano, ad esempio, la mappa rappresentata qui in fig. 2 e il «Disegno dell’intera zona Pontina» di Anonimo, del 1701, pubblicato in Frutaz 1972, vol. II, tav. 184.
18 Ci si riferisce alla carta eseguita per il Catasto Alessandrino, dal titolo «Strada fuori Porta S. Giovanni verso Marino… sino alle Case Nove», edita in Frutaz 1972, vol. II, tavv. 106-108.
19Si veda qui la nota 16 e la scheda cui si rimanda in tale nota.
20 Sull’argomento, si veda Sterpos 1966, pp. 77-81, 95-97, 110-111; Delogu 1990, p. 20; e specialmente Coste 1996 (1990), pp. 490-91; Coste 1999, pp. 96-97.
21 L’autore considera il castello descrivendo l’itinerario da Roma a Napoli. Cfr. Sterpos 1966, pp. 149-151.
22 Sulle due mappe si rimanda alle rispettive schede nel Catalogo.
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