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Contributo alla conoscenza della cartografia storica dei Monti Lepini

Cecilia Parolini

La lettura del paesaggio lepino rilevato nella car­tografia storica e in particolare la ricostruzione del paesaggio antico attraverso la cartografia stessa non sono azioni sempre immediate, forse a causa della marginalità che il complesso orografico sem­bra assumere di volta in volta agli occhi di topografi e cartografi rispetto ad aree limitrofe considerate indubbiamente più significative da un punto di vista storico nonché archeologico, quali il suburbio romano e la vasta area delle paludi pontine. È l’analisi della documentazione cartografica prodotta a partire dal XVI secolo avente come oggetto la regione laziale, intesa sia nell’accezione moderna del termine sia come Latium Vetus, a offrire un primo contributo alla definizione dell’immagine che geografi e topografi hanno tramandato di questo territorio nel corso del tempo. Da un punto di vista esclusivamente iconografico e stilistico, se nelle carte più antiche si predilige l’uso della nomen­clatura rispetto alla rappresentazione grafica della realtà territoriale, si assiste progressivamente alla volontà di conferire una forma agli elementi costi­tutivi del paesaggio. Ne consegue che i Monti Lepini, dapprima simboleggiati con un semplice triangolo, iniziano a essere disegnati a forma di cono multiplo su base orizzontale retta per poi assistere all’introduzione di alcune innovazioni quali la pro­spettiva “a volo d’uccello” e il tentativo, a partire dagli esemplari del XVII secolo, di rendere le differenze altimetriche tra i singoli monti[1]. Una maggiore scientificità si raggiunge indubbia­mente nella produzione cartografica ottocentesca, la quale perde quel carattere che possiamo defini­re “artistico” tipico degli esemplari precedenti per privilegiare gli aspetti topografici del territorio[2]: i centri abitati che costellano la dorsale lepina non vengono più rappresentati come vignette raffigu­ranti gli edifici più importanti della città, generalmente torri, castelli e chiese (figg. 1-2), ma si tende a delimitare le aree urbanizzate mediante poligoni che definiscano lo spazio da esse occupato (Schulz 1990, p. 11)[3]. Allo stesso modo gli altri elementi del paesaggio vengono resi progressivamente in modo più dettagliato, la vegetazione ad esempio nelle prime carte è del tutto assente oppure è raffigurata attraverso la disposizione degli alberi in piccoli gruppi su file orizzontali, successivamente si delimitano meglio le aree boschive, distinguendole nettamente dalle zone coltivate. Particolare attenzione viene rivolta anche all’idrografia: il fiume Sacco, il corso d’acqua che lambisce le pendici orientali dei Monti Lepini, e il fiume Amaseno[4] che ne delimita il settore meridionale, costituiscono una presenza costante nella cartografia. Oltre a questi si rappresentano sempre con maggiore dettaglio anche i corsi d’acqua minori che attraversano il territorio lepino, di cui si indicano talvolta le sorgenti. A tal proposito ricordiamo lo Schizzo di Leonardo per prosciugare le paludi ponti­ne mediante lo scolo di Badino e l’allargamento del Rio Marino[5], in cui Leonardo da Vinci disegnò i corsi d’acqua, principali e secondari, che discendono dalla dorsale lepina verso la pianura da bonificare, indicandonene il percorso in modo dettagliato e fornendo di ciascuno l’idronimo, elemento spesso assente nei documenti cartografici più antichi. Accanto alla cartografia ufficiale si producono mappe[6], per lo più dipinte ad acquerello e caratterizzate dall’uso di scale a basso denominatore, riproducenti porzioni di territorio piuttosto limitate, afferenti alle singole città lepine oppure ad aree circoscritte della catena montuosa[7]. La restituzione grafica del territorio in questi documenti avviene attraverso una resa dettagliata e il più possibile realistica di tutti gli elementi costituenti il paesaggio, con una chiara distinzione tra zone boschive, zone coltivate e incolte, si rappresentano i centri abitati e i singoli casali, la rete stradale ed eventuali monumenti presenti nel territorio circostante. Si possono forse considerare una sorta di compromesso tra la carta topografica e la veduta paesaggistica. Le mappe catastali invece propongono un diverso approccio al territorio, dedicandosi quasi esclusi­vamente alla definizione dei confini tra le diverse proprietà e lotti di terreno e ponendo quindi attenzione solo a quegli elementi, quali i corsi d’acqua, che partecipano direttamente alla delimitazione dei confini stessi. Dall’analisi dei documenti consultati ne emerge un paesaggio montuoso a carattere prevalentemente boschivo, ricco da un punto di vista idrico, dove i segni dell’intervento antropico si manifestano prevalentemente nella moltitudine di centri abitati che hanno conservato l’impianto urbanistico medievale e che si adattano perfettamente alla morfologia del terreno aggrappandosi alle sommità dei rilievi montuosi che lo compongono. In tale paesaggio sussistono anche le tracce di quell’«antico» che per primo ha determinato l’evoluzione del paesaggio stesso: la presenza costante nella cartografia dei tracciati viari delle consolari Appia e Latina, grazie al continuo utilizzo di buona parte del percorso originario in tutte le epoche storiche e alla loro importanza in quanto vie di comunicazione verso il Lazio Meridionale e la Campania[8]; la divisione agraria romana nei territori immediatamente a nord di Sezze e Norma tramandataci da A. Kircher nella sua Regionis Volscorum Descriptio[9]; i rudera vi­sibili nelle zone limitrofe le città lepine e rappre­sentati simbolicamente da J. H. Westphal che non trascura di tracciare il perimetro delle mura della colonia romana di Norba[10]; infine le strutture realizzate in epoca post-classica, torri di epoca medievale soprattutto, ma anche mulini e stazioni di posta, meglio conservatisi nella memoria cartografica in quanto probabilmente ancora in uso all’epoca della stesura dei documenti cartografici analizzati. Difficile è però cogliere in questa lettura l’evoluzione storica del territorio lepino, non basterebbe forse nemmeno un processo di estrapolazione per isolare i dati appartenenti alle diverse fasi storiche, consapevoli del fatto che la memoria dell’antico è stata filtrata dalla percezione di coloro che attra­verso la produzione cartografica hanno contribuito a tramandarla[11].

Fig. 1 - Pianta del territorio di Sonnino e confine con Terracina (Archivio di Stato di Roma, Collezione Piante e Disegni)
Fig. 1 - Pianta del territorio di Sonnino e confine con Terracina (Archivio di Stato di Roma, Collezione Piante e Disegni)
Fig.2 : Pianta del territorio di Sonnino e confine con Terracina: particolare con il centro abitato di Piperno (Priverno).
Fig.2 : Pianta del territorio di Sonnino e confine con Terracina: particolare con il centro abitato di Piperno (Priverno).
Anonimo, pianta di una parte della pianura Pontina, [1600], particolare. Archivio di Stato di Roma, Disegni e Piante, Paludi Pontine, coll. I, cart. 51, n. 16/III.
Anonimo, pianta di una parte della pianura Pontina, [1600], particolare. Archivio di Stato di Roma, Disegni e Piante, Paludi Pontine, coll. I, cart. 51, n. 16/III.

NOTE

1 Aa. Vv. 1990, p. 24.
2 Nel corso del XIX secolo cambia anche il modo di misurare lo spazio rappresentato, ne è testimonianza la Carta de’ dintorni di Roma redatta da A. Nibby e W. Gell, pubblicata nel 1827, il primo esempio di trian­golazione completa del territorio laziale (Nibby, Gell 1827). Un’ulte­riore evoluzione la si ha nel tipo di supporto di volta in volta adottato: le carte più antiche sono generalmente dipinte su pergamena, incise su rame e infine stampate su carta quelle più recenti.
3 Nei documenti cartografici più antichi si riportano esclusivamente le città principali del complesso lepino, Cora, Signia, Setia, Norba, Priver­num; negli esemplari più recenti il dato urbanistico assume una mag­giore completezza poiché vengono posizionati tutti i centri abitati che si sono sviluppati all’interno dell’area. Attraverso la cartografia storica è possibile seguire anche l’evoluzione toponomastica di questi centri: alcuni poleonimi rimangono pressoché invariati (Carpineto e Sermone­ta), altri subiscono una serie di trasformazioni prima di assumere la forma attuale (esemplare il caso di Sezze, noto nelle carte come Setia, Sectia, Sezi, Sezza).
4 L’Amaseno è indicato come Amasenus fl. oppure Maseno fl.
5 La carta fu redatta da Leonardo da Vinci tra il 1514 e il 1516 e allegata all’opera omonima allo scopo di presentare a Papa Leone X il progetto per i lavori di prosciugamento delle Paludi Pontine, progetto che non fu mai realizzato a causa della morte dello stesso Papa (Solmi 1911, pp. 15-27).
6 Si vedano la tavola e la rispettiva scheda nei Documenti.
7 Frequenti sono le mappe che rappresentano zone di confine tra le diverse comunità, le quali commissionavano a geometri e tecnici la redazione di tali documenti allo scopo di usufruirne ad esempo nella risoluzione di controversie territoriali con le comunità limitrofe o tra singoli proprietari terrieri.
8 Per quanto riguarda l’analisi della viabilità antica nel territorio lepi­no si rimanda al contributo di D. Salvi in questo volume.
9 Si vedano la tavola e la rispettiva scheda al n. 5 nei Documenti.
10 Si vedano la tavola e la rispettiva scheda al n. 19 nei Documenti.
11 Del Lungo 1997, p. 57

BIBLIOGRAFIA

Aa. Vv. 1990 = Aa. Vv., La Cartografia dell’Agro Romano, Roma, 1990.
Del Lungo 1997 = S. Del Lungo, L’indagine topografica applicata allo studio delle incisioni, in A.
Sperandio (a cura di), Cartografia storica e incisioni del territorio del Lazio dalla collezione di Fabrizio
Apollonj Ghetti, Roma 1997, pp.57 – 59.
Nibby, Gell 1827 = A. Nibby, W. Gell, Carta de’ dintorni di Roma secondo le osservazioni di Sir William Gell
e del Professore Ant.o Nibby, Roma 1827.
Schulz 1990 = J. Schulz, Come leggere una mappa topografica, in J. Schulz (a cura di), La cartografia
tra scienza e arte. Carte e Cartografi nel Rinascimento italiano, Modena 1990.
Solmi 1911 = E. Solmi, Leonardo da Vinci ed i lavori di prosciugamento delle Paludi Pontine ai tempi di Leone X
(1514-1516), Milano 1911.