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Genti Lepine Sezze: Gli immigrati a Sezze nel 1800

Il Convegno si terrà presso l’Auditorium Mario Costa di Sezze

Mercoledì  7 febbraio 2018 ore 10,30 

Estratto relazione a cura del Prof. Fausto Orsini/ Presidente Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano – Comitato di Latina

La bonifica della Pianura Pontina promossa da Papa Pio VI Braschi, benché incompleta, libera dalle acque stagnanti, migliaia di ettari di terreno fertile da mettere a coltura, restituisce alla Via Appia la sua funzione di arteria fondamentale per i traffici ed i collegamenti Nord-Sud. Il grande progetto del Papa che prevede il recupero agricolo, la colonizzazione e l’urbanizzazione dell’area Pontina va incontro a gravi difficoltà legate a: grande dispendio di risorse economiche; impossibilità di una bonifica integrale per la mancanza di mezzi tecnici adeguati al pieno controllo delle acque; imperversare della malaria che miete vittime tra gli addetti ai lavori di bonifica ed i coltivatori delle terre disseccate. Soprattutto la malaria, non consentendo insediamenti stabili nell’Agro, fa fallire il desiderio di Papa Pio VI di distribuire le nuove terre ai contadini.

    Sic stantibus rebus, per recuperare almeno in parte le spese sostenute, risulta inevitabile affittare le terre a persone benestanti che possano garantire un canone sicuro alla Camera Apostolica. Nella pianura bonificata nasce così il latifondo. Le terre recuperate finiscono nelle mani di poche grandi enfiteuti i quali, a loro volta, le subaffittano ai mercanti di campagna, veri e propri imprenditori che cercano di ricavarne utili con l’agricoltura, la pastorizia, l’allevamento di equini e bovini, la lavorazione e la vendita dei derivati del latte.

    Nelle aziende agricole che i predetti mercanti creano c’è bisogno di molta manodopera e siccome quella locale è largamente insufficiente, come già accaduto sin dall’avvio dei lavori di bonifica, si ricorre a quella proveniente da tutto lo Stato Pontificio e, in particolare, dalla Ciociaria, ma anche dal Regno di Napoli e, a volte, dalla Toscana. Dopo gli sconvolgimenti napoleonici e la restaurazione del governo del papa-re, migliaia di uomini e donne, spesso intere famiglie, giungono nella Pianura Pontina in cerca di lavoro. E’ un fenomeno antico quello dell’emigrazione in questi luoghi,  legato essenzialmente alla transumanza, ma ora esso assume dimensioni diverse più consistenti ed è incoraggiato dalle autorità. Di norma tutta questa gente presta la propria opera nelle aziende dall’autunno alla tarda primavera successiva, allorché fa ritorno nei paesi natali per sottrarsi ai rischi di contrarre la malaria. In breve, però, molti decidono di stabilirsi definitivamente nei centri prossimi alla pianura per essere più vicini ai luoghi di lavoro. Nella sola città di Sezze, ad esempio, tra il 1815 e il 1829 se ne contano 2.000, tutti insediati nella Conca di Suso in un totale di 500 capanne. Emigrazioni simili si registrano a Terracina, Sermoneta, Cisterna.

    L’arrivo in terra Pontina di u numero così elevato di emigranti produce effetti positivi sotto diversi punti di vista:

  1. Demografico: il numero degli abitanti dei vari centri riprende a crescere dopo un periodo tra Settecento e Ottocento in cui la somma dei morti supera quella dei nati anno per anno;
  2. Economico: nelle terre bonificate si produce ricchezza grazie soprattutto all’allevamento del bestiame e, in parte, all’agricoltura;
  3. Ambientale: vengono bonificate e messe a coltura anche terreni collinari e montuosi con impianti di oliveti, vigneti, castagneti.

    Più in generale nella Pianura Pontina si ritrovano per lunghi periodi insieme donne e uomini provenienti da molte regioni della Penisola. I più sono analfabeti ma ci sono anche viaggiatori, commercianti, mercanti di campagna etc… Essi vivono un’esperienza collettiva fatta di fatica, di sudore, di sofferenze, di paure, ma anche di racconti, di canti, di balli, di feste, di scambi di opinioni. Persone di diversa provenienza, con diverse abitudini, con diversi dialetti, lavorano insieme  e si integrano in una sorta di piccola Italia prima che si realizzi l’Unità Nazionale.

    Questa integrazione la si può riscontrare nelle fiabe e nelle favole che ancora oggi alcuni dei discendenti di quegli emigranti raccontano. In esse si ritrovano assimilati e ricomposti in nuove narrazioni originali elementi tipici delle regioni di provenienza degli emigranti. Interessante, ad esempio, l’adattamento alla realtà locale che i pastori di Carpineto fanno di una celebre novella di Boccaccio, Andreuccio da Perugia.

    C’è un altro aspetto di rilievo anche maggiore. Gli anni che vanno dal 1831 al 1848 vedono l’affermazione della “Giovine Italia”, il primo partito nato con il dichiarato obiettivo di fare della Penisola una Nazione, libera, indipendente, repubblicana. Il via vai di tanta gente nei nostri territori favorisce il diffondersi di queste idee. Un fatto è certo: in tutti i centri pontini nascono cellule rivoluzionarie o “comitati settari” per usare il linguaggio della polizia pontificia. Esse fanno subito proseliti e attiva propaganda mazziniana. Con la nascita della Repubblica Romana del 1849 le cellule si trasformano in Circoli popolari con l’obiettivo di preparare un’assemblea costituente come nucleo di un Parlamento nazionale. Tra le richieste dei circoli al primo posto figura l’apertura di scuole pubbliche.

    Tutto bene, dunque? Non del tutto. Ci sono anche risvolti negativi legati all’emigrazione: il brigantaggio. Insieme a tanti uomini e donne onesti e grandi lavoratori giungono nei territori pontini anche briganti e delinquenti. Il brigantaggio è un fenomeno endemico nelle nostre terre ma nell’Ottocento esso costituisce una gravissima piaga difficile da estirpare. Di qui probabilmente la diffidenza che i nativi di Sezze, ad esempio, nutrono verso i nuovi arrivati. Per molto tempo non ci sono matrimoni misti. Bisognerà arrivare al 1912 per vedere il primo sacerdote di Sezze diventare parroco della Chiesa Nuova edificata negli anni Trenta dell’Ottocento a sostegno delle esigenze degli immigrati.

    I lavori si concludono con la presentazione di un’indagine condotta nel 2017 tra i residenti di un’area della Conca di Suso con l’indicazione delle loro antiche provenienze.

 

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