Il riparo preistorico dell’Arnalo dei Bufali, dove nella primavera del 1936 Alberto Carlo Blanc, paletnologo italiano (Chambéry 1906 – Roma 1960) professore di paletnologia all’Università di Roma, presidente dell’Unione internazionale delle scienze preistoriche, ha scoperto il dipinto rupestre dell’Uomo a Phi in un complesso naturale vicino al tracciato della vecchia linea ferroviaria Toppitto, immerso in un paesaggio carsico caratterizzato da numerose grotte e ripari.
Riconosciuto confrontandolo con i numerosi ritrovamenti fatti in Spagna appartenenti al Neolitico, il dipinto di Sezze ha circa 6.000 anni. Il dipinto rupestre realizzato con ocra rossa, ritrovato all’Arnalo dei Bufali in Sezze, è alto 28,5 cm e largo 22,0 e si trova attualmente a Roma presso il Museo “Preistorico-Protostorico del Lazio”.
Il “Gruppo In Difesa dei Beni Archeologici”, insieme ad alcuni cittadini di Sezze, coordinati da Elisabetta Bruckner, Vittorio Mironti e Paolo Barozzi ha iniziato a muoversi per riportarlo a Sezze, almeno per alcuni periodi visibile alla comunità. Con il museo romano è iniziata una forma di corrispondenza che finora ha ottenuto interessanti risposte. Alessandra Serges, Funzionario Archeologo della Soprintendenza al Museo Nazionale Preistorico Etnografico “L. Pigorini”, ha confermato l’interesse del Ministero per questa iniziativa, affermando che il reperto è conservato all’interno dei magazzini della struttura di piazza Guglielmo Marconi. Il primo passaggio da completare è quello del restauro, del quale dovrebbero occuparsi il Comune e cittadini con il sostegno di sponsor. Poi la fase successiva dovrebbe rispettare un canone istituzionale previsto per i beni demaniali. Il Ministero dovrebbe essere contattato dall’Ente, che dovrebbe avanzare la richiesta precisando le caratteristiche sulle procedure di restauro, le tempistiche e i dettagli sulla sala espositiva.
a cura di Vittorio Del Duca
Le mandrie di bufali, presenti da sempre nel territorio delle paludi Pontine e citate già nel 1600 da G. Ciammarucone così come vengono rappresentate nell’incisione di C. Coleman del 1849, (sotto) – aiutavano l’uomo a mantenere pulito dalle erbe acquatiche l’alveo dei fiumi e dei canali, semplicemente nuotando oppure guadandoli. Il riparo preistorico, abbandonato dall’uomo, diventò presto la dimora preferita dai bufali e anche dai bovini che ancora oggi stazionano in zona.
Il termine dialettale “Arnalo” o “Arnaro” è di etimologia incerta. Con ogni probabilità deriva da “arn”, termine celtico che sta ad indicare una o più incavature ai piedi di un costone roccioso, ospitante nella Preistoria uomini e animali, in seguito soltanto animali. Nel nostro caso, l’Arnalo dei Bufali, viene utilizzato dapprima ad indicare un riparo per bufali, utilizzati in passato per la loro mole nello spurgo di fiumi e canali, ma anche per intorbidire le acque e facilitare la pesca con le reti nel vicino Ufente, più tardi anche ad indicare un riparo per greggi o buoi.
Nel basso Medio Evo è presente nella lingua italiana anche il termine “arna”, poi diventato “arnia”, ad indicare il ricovero naturale o artificiale delle api domestiche.
Da Arnalo o Arnaro, derivano i diminutivi dialettali riscontrabili nella toponomastica locale, Arnarello e Arnariglio, quale si riscontra presso la località Archi S. Lidano (Stradone dell’Arnarello) e nella conca di Suso a ridosso della contrada Zoccolanti (Arnariglio).
“Arnereglio” è invece un termine dialettale di uso agricolo: specie di piolo che nell’aratro serve da raccordo per le “recchie” (orecchie), manovrando le quali si può conferire al solco una larghezza maggiore o minore.
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