Il ruolo di Fossanova nello sviluppo artistico del territorio circostante è stato più volte affrontato negli ultimi anni, arricchendo il quadro delineato con magistrale chiarezza metodologica da Angiola Maria Romanini. Analizzando nel caso di Ferentino il rapporto tra la precedente cultura architettonica del territorio e quella dei nuovi edifici realizzati nel corso del Duecento, la studiosa individuava l’esistenza di un linguaggio che si sovrappone al precedente, cancellandolo pressoché radicalmente, linguaggio le cui origini sono individuate nei cantieri delle abbaziali cistercensi sorte già nel XII secolo tra Campagna e Marittima. Per illustrare a pieno il ruolo di questi cantieri la Romanini elaborò la definizione di ‘cantieri-scuola’, tema sul quale tornò poi in diversi saggi; nei cantieri delle abbaziali cistercensi si realizzò il momento di incontro tra le maestranze cistercensi e quelle locali che poterono apprendere direttamente sui ponteggi di abbazie e sale capitolari, ma anche di strutture per il lavoro, un linguaggio totalmente diverso da quello familiare del loro territorio, e diverso non solo nell’aspetto delle diverse forme decorative, ma soprattutto, ed è questo l’elemento forse più importante, nella prassi costruttiva. La lingua che impronta i cantieri monastici cistercensi ha le sue radici nella particolare elaborazione operata dai Cistercensi della lingua borgognona della prima metà del XII secolo, al trapasso tra romanico e gotico; l’operazione avvenne nei cantieri delle prime abbaziali dell’Ordine sulla base di un principio di sintesi e di riduzione all’essenziale per arrivare a elaborare forme purissime improntate essenzialmente su modelli geometrici. Sono le celebri parole di Bernardo nell’Apologia ad Guillelmum a guidarci alla comprensione delle rarefatte forme dei capitelli di Fontenay, il documento più intatto a noi pervenuto delle fabbriche cistercensi della prima metà del XII secolo. Sono cerchi che si intrecciano o foglie sottilmente profilate a decorare i capitelli della chiesa abbaziale, manifesto delle parole con cui Bernardo condannava la scultura architettonica coeva, colpevole di rappresentare non solo storie, ma anche corpi mostruosi di uomini e animali che attiravano l’attenzione dei monaci, distratti così dalla preghiera e dalla contemplazione di Dio. Anche il sistema progettuale degli edifici cistercensi è radicalmente nuovo, fondato su una prassi che non concepisce più l’edificio come un organismo unitario, pur se articolato in varie parti, ma lo trasforma in un sistema aperto, dove la progettazione modulare apre gli spazi a una crescita potenzialmente illimitata, affidata com’è alla giustapposizione di singole unità cellulari. Se nell’architettura degli edifici religiosi la libertà del sistema progettuale è in qualche modo limitata dall’icnografia del modello della chiesa a tre navate e dai rapporti matematici tra le misure dei diversi spazi interni, la progettazione modulare mostra le sue potenzialità soprattutto nella costruzione di edifici di servizio e di lavoro, ma anche di abitazioni e strutture difensive. All’idea dell’edificio come un tutto organico, che è l’idea del romanico, si sostituiscono strutture aperte, create per addizione di elementi modulari, con una stupefacente anticipazione della prassi architettonica contemporanea.
La storia del cantiere di Fossanova è molto lunga e le sue vicende non sono pertinenti alla prima fase della storia architettonica dell’Ordine conclusa con la morte di S.Bernardo, fase della quale unica testimonianza completa è solo quella di Fontenay. La vita cistercense a Fossanova inizia verso il quarto decennio del XII secolo e l’abbazia appare subito sotto la protezione pontificia, prima di Innocenzo II e poi di Eugenio III, pontefice che era stato monaco a Clairvaux a fianco di Bernardo e poi abate delle Tre Fontane. Sono anni fondamentali per la diffusione dell’Ordine in Italia e le fondazioni laziali nascono sotto il segno forte del patrocinio dei papi: è infatti sempre Eugenio III a promuovere nel 1152 il passaggio alla regola cistercense di Casamari. Il ruolo di Fossanova è fondamentale nel supportare il controllo pontificio sui territori della Campagna e della Marittima, oggetto delle mire sia dei principi di Capua sia dell’imperatore. In quegli anni Eugenio III riesce a recuperare Sezze, Norma, Fumone, Terracina e Fossanova opera attivamente per il controllo di questi territori anche con la rete delle sue dipendenze. L’influsso sul territorio del linguaggio architettonico elaborato nel cantiere della nuova abbazia, iniziata probabilmente a partire dal settimo decennio del XII secolo, appare già nella chiesa di S.Maria del Fiume a Ceccano, consacrata nel 1196. Il cantiere abbaziale ha una tappa importante nel 1208, quando Innocenzo III consacra l’altare della nuova abba-zia; a questa data dovevano essere eretti gli edifici monastici: Innocenzo III cena infatti nel refettorio abbaziale. Anche le forme di tre dei lati del chiostro sono riferibili alla fine del XII secolo. Le donazioni di Innocenzo III dovettero poi consentire l’avanzamento dei lavori della chiesa nelle navate e verso
la facciata, conclusa probabilmente verso il terzo/ quarto decennio del Duecento. Negli ultimi decenni del secolo i lavori ripresero nel chiostro, decorato da un monumentale affresco con l’Albero di Jesse, parzialmente superstite sopra le attuali coperture del braccio N, e con il rifacimento del braccio di chiostro meridionale in forme ormai marcatamente segnate dalla cultura locale dei cosiddetti ‘maestri privernati’, lapicidi attivi soprattutto nell’area campana fino agli inizi del Quattrocento, quando Antonio Baboccio di Priverno opera alla facciata del Duomo di Napoli.
Un cantiere dunque, quello di Fossanova, dal lungo arco temporale e il cui marchio è evidente nei centri vicini. Per comprendere a pieno il fenomeno si deve tenere conto della presenza capillare sul territorio di strutture dipendenti dall’abbazia, elementi fondamentali per la diffusione del linguaggio cistercense. Il recente libro di Elisa Parziale delinea un quadro puntuale della situazione e a esso rimando per ogni approfondimento. Oggi è difficile ricostruire questo quadro complesso: molto è scomparso e di tante strutture rimangono tracce così labili che solo l’occhio dello studioso è in grado di individuarle. E’ il caso di S. Angelo de Campo Mellis, individuato dalla Parziale nella chiesa principale di Campodimele, del S. Benedetto di Priverno, del monastero di S. Stefano di Vallis Roscinae presso Carpineto Romano, o caso ancora più interessante, del monastero di monache cistercensi di S. Maria delle Canne presso Sonnino. Queste dipendenze dell’abbazia furono centri di diffusione del suo linguaggio architettonico ed è allora facile comprendere la presenza del linguaggio cistercense a Sezze, Sonnino, o Carpineto. Impossibile analizzare i singoli casi; alcuni spiccano nettamente, e sono il Duomo di Sezze, o il S. Michele Arcangelo di Sonnino o le chiese di Carpineto e di Sermoneta o ancora il castello di Maenza, ma di straordinaria importanza sono anche le tracce che oggi ci appaiono minori, superstiti in bifore o arconi, assetti stradali e portali di case e palazzi, documenti fragili che le trasformazioni urbane, l’incuria e soprattutto l’ignoranza hanno spesso cancellato. Primario appare poi sicuramente il caso di
Priverno, dove l’intera città reca l’impronta del cantiere fossanoviano: la Cattedrale, il Palazzo Pubblico, splendidamente riapparso dopo il recente restauro, ma anche le case e gli assi stradali mostrano il marchio di architetti e lapicidi cistercensi, tanto da far pensare, seguendo l’ipotesi di Margherita Cancellieri, che, quando si abbandonò il centro in pianura di Mezzagosto, la nuova Priverno sia nata sul colle proprio sotto il segno degli architetti e delle maestranze cistercensi. Non sarebbe certo un caso isolato; nella Francia Meridionale le bastides testimoniano l’opera dei Cistercensi come urbanisti e costruttori di nuovi centri abitati creati sulla base di quella progettazione modulare con cui erano state pianificate abbazie e strutture produttive.