Alcuni eventi che hanno caratterizzato e hanno formato le identità delle comunità dei Monti Lepini sono rintracciabili in diversi luoghi divenendo un riferimento e un punto di congiunzione con il passato. Si tratta per lo più di fatti luttuosi, legati alla guerra, a proteste politiche o a epidemie. La loro tragicità ha creato una solidarietà tra le persone che li hanno vissuti tale da formare un’identità condivisa e mantenuta nel tempo, lasciando tracce evidenti nei monumenti eretti a commemorazione, ed echi recuperati attraverso il meticoloso lavoro di storici locali e delle amministrazioni che ne hanno mantenuto vivo il ricordo.
Così scopriamo che nella Piazza Garibaldi di Sonnino il monumento ai caduti rende omaggio agli uomini che sono morti durante le due guerre mondiali, o ancora che le due porte del paese – Porta Riore e Porta di Tocco – crollate per un bombardamento il 22 Aprile 1944 testimoniano i numerosi morti provocati dall’incursione di una formazione aerea americana. Sono cicatrici indelebili: “Spiegare a mio nipote ciò che accadde quel sabato del 1944…Come faccio? […] ogni volta che ci ripenso mi vengono i brividi, e poi l’immagine di mia sorella… come faccio? Certo che di tempo ne è passato tanto, più di 55 anni, eppure lo ricordo perfettamente!” (AAVV 2002: 17). Così testimonia una donna, riferendosi a un sabato mattina che è scolpito nelle menti e nella storia familiare di quasi tutti gli abitanti del paese che in quel giorno videro morire almeno un parente senza riuscire a spiegarsi il perché di un tale attacco da parte degli americani. Il racconto prosegue con scene strazianti di persone che urlavano, corpi riversi nel proprio sangue, una madre che raccoglieva i pezzi dei suoi figli sparsi a terra. “In mezzo a tutta quella gente che urlava non sapevo da che parte cominciare, e poi la Porta Riore che conoscevo bene mi sembrò d’improvviso un luogo sconosciuto, mai visto […] da allora il dolore e la tristezza sono rimasti nei vicoli di Sonnino” (AAVV 2002: 17-19).
Anche Roccagorga ricorda tragedie simili. Il 10 novembre 1936 un bombardiere dell’Aereo porto di Ciampino, durante un’esercitazione di volo, precipita sull’abitato, in via Rattazzi. Ci furono ben sedici morti di cui quattro membri dell’equipaggio e dodici persone del paese. Un po’ fuori dall’abitato, nella zona dei “Ristretti”, dove perì un militare dell’equipaggio al quale non si aprì il paracadute, la madre ha fatto erigere un cippo a perenne ricordo. “Quel cippo deve essere indicato alla nostra comunità come l’ultimo simbolo di tragedie civili o di guerra che non devono più accadere” (Centra 1985: 64). L’episodio ricostruito con cura dallo storico locale Giuseppe Centra serve a mantenere vivo nella memoria dei rocchigiani il ricordo del senso di solidarietà di alcuni concittadini che diedero la vita per soccorrere i militari caduti con l’aereo e a rinsaldare un sentimento di unità e identità locale divenendo la comunità tutta protagonista di una tragedia legata alla storia nazionale.
Sempre Roccagorga, come Priverno, Sezze, Sonnino e Bassiano si resero interpreti nel 1951 del disagio economico caratterizzato dall’alto tasso di disoccupazione che flagellava le comunità dei Monti Lepini. Organizzarono una serie di scioperi alla “riversa” riorganizzando la rete stradale che versava in condizioni disastrose a causa della recente guerra. Le strade stesse divennero un luogo della memoria a testimonianza delle pacifiche manifestazioni che si tradussero in una forma di protesta e di proposta, in cui “i disoccupati intrapresero la costruzione di opere considerate di pubblica utilità, volontariamente, senza rivendicare alcuna retribuzione” (Cantarano 1989: 67). E così il primo marzo 1951 i disoccupati di Roccagorga iniziano la costruzione della strada delle Paludi, oggi Strada della Pace. “Quando iniziammo a lavorare sulla strada, arrivarono tantissimi poliziotti e carabinieri armati […] Io avvertii immediatamente i lavoratori e raccomandai loro di non fare alcuna resistenza perché avevo paura che si verificasse qualcosa di grave, un altro 6 gennaio 1913, un’altra strage di innocenti” (Cantarano 1989: 110). La memoria che riaffiora in questa testimonianza rievoca la ferita che lacera la coscienza collettiva sconvolta dalla tragedia dell’eccidio di Roccagorga nel 1913. Nella Piazza del paese davanti al municipio una manifestazione di protesta dei contadini fu repressa nel sangue dall’esercito: perirono sette persone e ne rimasero ferite quaranta e altrettante furono tradotte in carcere. È un episodio che non si dimentica “non si dimentica mai, ogni anno si ricorda quella giornata” (Padiglione 2001: 87). Piazza rappresenta il ricordo di tutte le sofferenze, la miseria, e il senso di ingiustizia che i rocchigiani patirono, culminate in una strage di innocenti che riecheggia ancora oggi e che era scolpito nelle coscienze di coloro che parteciparono agli scioperi del 1951, tanto che una delle sale dell’Etnomuseo è interamente dedicata a quest’evento.
Lo stesso anno vide Sezze e Priverno vivere eventi simili. Il 18 febbraio iniziò lo sciopero alla rovescia che diede avvio alla costruzione della strada Madonna dei Colli-Ceriara ad opera dei disoccupati sezzesi, mentre quelli di Priverno iniziarono i lavori della strada Madonna delle Grazie, lavorando non retribuiti e senza autorizzazione. Anche qui la strada diventa luogo della memoria: “eravamo forse in mille e le donne erano numerosissime. […] Ci fu anche un blocco stradale da parte del vice questore, ma poi, riuscimmo a far passare la gente con tutti gli attrezzi da lavoro e si incominciò a lavorare in uno spirito di solidarietà e di partecipazione” (Cantarano 1989: 83). Lo stesso fenomeno è riscontrabile nel ricordo dell’agitazione che l’anno successivo raggiunse anche Bassiano e Sonnino. I disoccupati di Bassiano diedero avvio ai lavori di costruzione della strada “Mattonata”, che fungeva da collegamento tra il paese e i campi coltivati: “la strada che realizzammo […] adesso è lì, a testimoniare, muta, il sacrificio e la fatica dei compagni che la costruirono” (Cantarano 1989: 130). I disoccupati di Sonnino lavorarono alla strada Sonnino- Monte San Biagio. Accanto a luoghi che rimandano alla memoria di gesta collettive, ne esistono altri legati a vicende particolari che colpiscono l’immaginario collettivo e ne impressionano il ricordo. A Sezze nella zona detta “Ferro di cavallo” il 28 maggio 1976 perse la vita il giovane Luigi Di Rosa, colpito da un proiettile. Si era prossimi alle elezioni e provocatoriamente un esponente del MSI, Sandro Saccucci, scelse Sezze, centro tradizionalmente antifascista, per fare il suo comizio. Presto la situazione è degenerata culminando in tafferugli, costringendo Saccucci alla fuga durante la quale da una delle auto della delegazione “missina” vengono esplosi alcuni colpi che feriscono
ad una gamba il giovane Antonio Spirito e uccidono Luigi Di Rosa. L’episodio è ricordato da un monumento a memoria di tutte le vittime dell’antifascismo posto, ad un anno dal suo omicidio, dall’Amministrazione Comunale. Un luogo che, se da un lato rinnova la testimonianza ed il monito contro la violenza fascista, dall’altro rappresenta la persistenza della stessa come evidenziano i ripetuti atti di vandalismo perpetrati ai danni del monumento.
Ma i luoghi della memoria nei Monti Lepini, non sono legati solo ad eventi politici o a guerre, ma anche a episo-di di fervore religioso come nella Chiesa di Sant’Erasmo a Bassiano. Qui nel 1918, quando imperversava l’epidemia di spagnola che provocò la morte di migliaia di persone in tutta l’area, il parroco pensò di affidare la cura dei fedeli a San Rocco ed espose la sua statua sull’altare maggiore. Già in passato si era ricorsi a questa pratica di pregare la statua del Santo esposta fuori dalla sua nicchia, ma mai era accaduto che la statua iniziasse a stillare gocce di sudore sul volto, come in quell’occasione. Non si ammalò più nessuno. E chi era stato contagiato riuscì a sconfiggere la malattia.
Nelle comunità dei Monti Lepini la memoria collettiva si è conservata ed è stata “recuperata” pur subendo delle “amnesie”, delle “censure” e una “selettività”. “L’interesse per la storia significa interesse per la vita; lo studio delle tradizioni è un ritrovare le proprie radici, è una modalità per rinforzare il senso di appartenenza ad un gruppo ma è, ancora di più, un contributo significativo alla comprensione della ‘Grande storia’; infatti senza le ‘piccole storie’ non potremmo leggere in modo più obiettivo i grandi avvenimenti” (AAVV 2002: 7).