La montagna è anche casa nostra. Aiutiamo chi la difende
Nel corso di uno degli incontri dell’ultima edizione di Cheese, terminata lunedì scorso, mi ha colpito l’immagine evocata da un produttore caseario dell’Appennino: «È come se non avessimo pulito casa per molto tempo» affermava, riferendosi all’incuria, all’erosione ambientale e allo spopolamento che flagellano le aree interne del nostro Paese.
Per agricoltori, allevatori, pastori e casari degli Appennini e delle Alpi la montagna è appunto questo: una casa da mantenere in ordine e curare, anche quando costa fatica e lavoro aggiuntivo che nessuno potrebbe permettersi di retribuire.
Pochi giorni fa i rappresentanti delle regioni alpine hanno siglato un memorandum per lo sviluppo dell’agricoltura di montagna nell’ambito della prossima Pac. Al centro del documento c’è la proposta di rivedere il legame esistente tra i pagamenti diretti e il numero di capi di bestiame alimentati a foraggio grezzo, rafforzando l’allevamento legato alla terra.
Altrettanto rilevante è la possibilità di garantire compensazioni finanziarie per gli svantaggi produttivi di chi lavora in montagna, considerando cioè non solo il numero dei capi di bestiame ma anche le difficoltà logistiche e le dimensioni dell’azienda.
Il principio è già stato accolto dalla Provincia autonoma di Bolzano, che nel suo piano di sviluppo 2014-2020 ha destinato una parte dei fondi europei della Pac a sostenere i maggiori costi che i produttori di latte in alta montagna devono affrontare per la distribuzione.
In gioco non c’è solo la tutela della qualità, dal momento che il latte migliore è proprio quello che rischiamo di perdere insieme ai pascoli e ai caseifici di alta quota. C’è il riconoscimento di quei servizi ecosistemici che allevatori e agricoltori delle aree interne svolgono a beneficio di tutti noi: per questo, soprattutto, abbiamo bisogno del lavoro di chi può chiamare “casa” le nostre montagne.
Gaetano Pascale
presidente di Slow Food Italia
Fonte: slowfood
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