Museo dell’Abbazia di Valvisciolo (Galleria Abate S. White) - 28 Maggio 2021 - Photo: Enrico de Divitiis / ©2021ENRICOdeDIVITIIS.it
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Questo Museo fa parte dell’Organizzazione Museale Regionale (O.M.R.) e del Sistema Integrato Territoriale dei Monti Lepini (Decreto del Presidente della Regione Lazio – 2023)

Abbazia di Valvisciolo

Situata sul lato occidentale del monte Corvino, a pochi chilometri da Sermoneta, l’Abbazia di Valvisciolo è uno dei monasteri più noti della provincia di Latina. La sua costruzione si fa risalire alla seconda metà del XII secolo, verso il 1166, ad opera di un gruppo di monaci cistercensi esuli che avevano dovuto abbandonare il loro monastero di Santa Maria di Marmosolio (vicino a Ninfa), distrutto dalle truppe di Federico Barbarossa. Il complesso abbaziale è caratterizzato dalla estrema semplicità e razionalità, imposta dagli Statuta dell’Ordine e soprattutto da Bernardo di Clairvaux. La chiesa è articolata secondo il canonico schema a tre navate di cinque campate ciascuna – in questo caso priva di transetto – con pilastri a base rettangolare di derivazione romanica. E’ affiancata dal chiostro sul lato meridionale, intorno a cui si sviluppano vari ambienti, tra i quali la sala capitolare, il refettorio, il dispensarium. L’Abbazia dei Santi Pietro e Stefano di Valvisciolo viene ampliata, con vari inter-venti, sino alla prima metà del Cinquecento. Nel 1523, a causa della scarsa presenza di monaci, la badia viene ridotta da papa Clemente VII a semplice priorato e nel 1529 abbandonata dai cistercensi.
Da quel momento Valvisciolo diventa priorato secolare. Il 12 agosto del 1540 – soppresso il priorato secolare da papa Paolo III – i Catani, signori di Sermoneta, entrano in possesso dell’abbazia e decidono di abbellirla con una serie di dipinti su tavola ed a fresco, assolutamente assenti sino a quella data. L’austera regola cistercense, infatti, bandiva ogni manifestazione decorativa. Nel 1541 Girolamo Siciolante (Sermoneta 1521 – Roma 1575) viene incaricato da Camillo Catani di realizzare un dipinto per l’altare maggiore della chiesa – la Madonna col Bambino ed i Ss. Pietro Stefano e Giovannino (detto anche Pala di Valvisciolo o Pala Catani) – attualmente conservato presso il castello Catani di Sermoneta. Al 1589 risalgono gli affreschi tardomanieristi, opera di Niccolò Cir-cignani detto il Pomarancio, che adornano il presbiterio, il coro e la cappella dedicata a S. Lorenzo. I dipinti furono realizzati su commissione del duca Onorato IV Catani (1542-1592) e del fratello Cardinale Enrico, abate commendatario dell’Abbazia di Valvisciolo.
Tra il 1600 ed il 1605 avviene il ritorno dei cistercensi a Valvisciolo, con i monaci della Congregazione dei Foglianti, che vi rimangono sino alla soppressione napoleonica (1810ca.). Nel 1863 papa Pio IX si reca in visita nell’abbazia sermonetana e, come riferisce Don Remigio Facecchia “Rifece gli intonachi della chiesa, vi trasportò quattro quadri prendendoli dalla basilica di S. Lorenzo [fuori le mura], con gli altari barocchi”. Tra quei dipinti erano la Sacra Famiglia con Santa Elisabetta e San Giovannino e San Lorenzo battezza Ippolito di Emilio Savonanzi – che nella seconda metà dell’Ottocento adornavano l’altare maggiore e la navata destra della chiesa – entrambi riferibili al 1623 circa – ed oggi collocati, rispettivamente, sulla parete destra e su quella sinistra del presbiterio. Pio IX portò in dono altre due opere, appositamente realizzate per l’Abbazia da P. Minnoccheri, suo cameriere personale: si tratta dei due grandi oli su tela che raffigurano San Pietro e Santo Stefano, attualmente sulle pareti del coro. Dal 1864, anno in cui i cistercensi tornano a Valvisciolo in via defini-tiva, grazie all’interessamento di Pio IX, l’abbazia è priorato conventuale dipendente dalla Congregazione di Casamari.

Museo dell’Abbazia di Valvisciolo

Il Museo dell’Abbazia di Valvisciolo sottolinea l’impegno della Comunità monastica nella promozione culturale storico-artistica e religiosa nel territorio lepino. Viene istituito nel 2003 presso i locali dell’ex dispensarium del Cenobio cistercense. Il suo patrimonio è costituito dalle opere esposte nella Galleria Abate Stanislao White, suo nucleo centrale, dai grandi dipinti su tela di Francesco Savonanzi (XVII secolo) e quelli di P. Pasquale Minoc-cheri (seconda metà XIX secolo) conservati nella chiesa abbaziale; sempre di pertinenza del Museo sono gli affreschi del Pomarancio (1589) che ne decorano il presbiterio, il coro e la Cappella di San Lorenzo. Dal 2007 la Sala capitolare (XIII secolo) ospita mostre temporanee di maestri storici (ricordiamo quelle di Ettore Ferrari e Duilio Cambellotti). La Galleria, dedicata all’abate irlandese Stanislao White (1839-1911) che all’inizio del Novecento tanto amò e si prodigò per il cenobio cistercense, conserva opere che provengono in gran parte dalla donazione di incisioni e disegni del XVI-XIX secolo del collezionista Guglielmo Guidi. La stampa d’arte originale è ben rappresentata con xilografie, bulini, acqueforti, acquetinte e litografie di alcuni dei suoi più grandi interpreti, come Albrecht Dürer, Rembrandt, Canalet-to, Giovan Battista Piranesi, Francisco Goya, Honorè Daumier. Tra i disegni originali si segnalano le sanguigne di Francesco Curti e Luca Giordano, la matita di Vincenzo Camuccini ed il carboncino di Narci-se Diaz de la Peña. Accanto a questo fondamentale nucleo compaiono alcune opere del fondo storico della stessa Abbazia, come la Deposizione del Pomarancio (1589-90), la Vergine in preghiera attribuibile alla cerchia del Sassoferrato (XVII secolo), la Vergine Immacolata di Raimondo Giarrè (1857), il ritratto a bulino di Papa Pio IX (1842) di Giovanni Vitta, unitamente a quello dell’abate White realizzato da Aurelio Mariani nel 1902. Sempre dal fondo storico, infine, provengono le pianete, le monete, medaglie, antifonari ed i manoscritti, in gran parte risalenti al XIX secolo, esposti nelle bacheche.

Alcune delle opere all’interno della Galleria: 

Albrecht Durer, La presentazione di Maria al tempio, 1503 (xilografia mm 299×205)

La presentazione di Maria al Tempio appartiene al ciclo incisorio più importante dell’artista dedicato alla Vita di Maria. L’opera si mostra con una complessa impaginazione che vede in primo piano la canestra di frutta, gli agnelli, il mercante con la moglie che accompgnano l’occhio dell’osservatore al fulcro portante di tutta la scena ossia la figura della giovane Maria intenta a salire i gradini del tempio, dove, vivrà sino ai dodici anni. Ci sono innumerevoli rappresentazioni simboliche all’interno di tutta l’opera: all’avvento del Messia e a Cristo fatto prigioniero per i nostri peccati alludono le gabbie con le colombe recate dal mercante a suo figlio, all’interno della canestra un’altra allusione a Cristo con la presenza della melagrana simbolo della Resurrezione. Sulla sommità della grande arcata, Durer pone la figura di Ercole che tiene per la gola il cane Cerbero da lui catturato nel suo viaggio nell’Ade. La presenza di questo eroe mitologico deve essere interpretata alla luce della corrente filosofica del neoplatonismo e rimanda alla prefigurazione di Gesù.

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Niccolò Circignani detto il Pomarancio, Deposizione di Cristo nel sepolcro, 1590 circa

(olio su tela cm 122×96)

La Deposizione di Cristo nel Sepolcro è una delle poche opere di grandi dimensioni dell’artista, probabilmente è presente sulla tela anche la mano di Antonio Circignani a cui si possono attribuire gli intensi contrasti luministici e la figura della Vergine che appare di mano più acerba in contrasto con la figura del Giuseppe di Arimatea di mano del Pomarancio. Postume sono invece le panneggiature che sono da attribuire ad un anonimo artista, il cui ruolo fu quello di censurare le “scandolose” nudità del Giuseppe di Arimatea e di Nicodemo. Pomarancio articola la narrazione attraverso una progresssiva successione di piani e la sviluppa lungo la diagonale che dal capo di Giuseppe giunge a lambire la schiena di Nicodemo. La Deposizione appare immersa in un’atmosfera di “calma fatale” che libera l’evento dal pathos e dramma consueti esprimendo perfettamente il nuovo clima culturale della Riforma romana.

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Rembrandt, Abramo ed Isacco, 1645 (Acquaforte e bulino mm 157 x 130)

Rembrandt fu autore di diverse stampe che ebbero sin da subito un grande successo. Attraverso l’acquaforte l’artista riuscì a trovare uno strumento, forse ancor più della pittura,  ideale con cui esprimersi. Incomincia ad accostarsi a questa tecnica intorno al 1626 con un ciclo dedicato alla Vita di Cristo. In quest’opera presente nel Museo dell’Abbazia di Valvisciolo l’artista sceglie di rappresentare il momento in cui Isacco e Abramo sono intenti a dialogare, prima del tentato sacrificio del giovane figlio di Abramo. Non ci sono riferimenti paesaggistici tranne gli alberi sulla sinistra. La scena è più intima e concentra l’attenzione sui due protagonisti: la gestualità, la postura, i piccoli movimenti calano l’osservatore nalla narrazione. Ci sono piccoli cenni simbolici che ci preannunciano ciò che sta per accadere come il coltello sulla cinta di Abramo o la legna che il giovane porta con sè. E’ un chiaro esempio in cui Abramo viene raffigurato come uomo che ripone in Dio totale fiducia.

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Francisco Goya, Qual la descanonan, 1792-99

( Acquaforte ed acquatinta mm 210 x 145)

L’opera presente al Museo dell’Abbazia del Valvisciolo fa parte della serie incisoria realizzata da Goya dal titolo Capricci, con il titola iniziale di Sogni. Questa serie viene concepita da Goya quando è completamente sordo a causa di una malattia contratta anni prima. Questa sua malattia influenza inevitabilmente la sua arte, questa componente a tratti “demoniaca” è peculiare del suo nuovo linguaggio artistico. In Qual la descanonan! (Come la spennano!) l’artista attacca l’amministrazione della giustizia e l’autentica rapacità degli scrivani e dei segretari della curia.

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INFORMAZIONI

Sede : Via Badia, 14 Sermoneta (LT)
Telefono0773.30013
Sitohttps://www.museoabbaziavalvisciolo.it/
Servizi: visite guidate  al museo e all’Abbazia

Direttore Scientifico del Museo: Vincenzo Scozzarella 
Priore dell’Abbazia di Valvisciolo e Direttore Amministrativo del Museo: P. Andrea Rossi

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