Dopo l’estate degli incendi, riformiamo davvero i parchi
Quest’anno sono andati in fumo 124mila ettari di foreste, un’area vasta quanto la città di Roma, e molti di questi sono situati in aree protette, come il Parco nazionale della Majella dove i roghi procedono dal 19 agosto e hanno già distrutto il 5% di una riserva naturale che racchiude un terzo dell’intera flora italiana.
Insieme a una riflessione adeguata sui compiti e le risorse della polizia ambientale, si impone la necessità di ripensare a fondo la tutela del patrimonio naturalistico, tuttora disciplinata dalla legge 394/1991. Pur richiedendo un adeguamento ai tempi, il quadro normativo che all’epoca ci poneva all’avanguardia nella legislazione ambientale resta valido. L’attuale proposta di riforma, però, è stata oggetto in questi mesi di fondate critiche e perplessità nel mondo dell’ecologismo.
Sebbene i passaggi parlamentari ne abbiano migliorato l’impianto rispetto alla proposta originaria, preoccupano ancora alcuni aspetti, come l’introduzione di royalties per le attività estrattive. La governance dei parchi, inoltre, prevede che i direttori vengano scelti dai presidenti in base alle sole competenze «manageriali», favorendo l’appartenenza rispetto alla professionalità. È chiaro il ridimensionamento della componente scientifica e conservazionista a vantaggio dei poteri locali.
Ci preme ricordare in particolare che i parchi, diffusi sul 20% del territorio nazionale, sono anche presidi contro lo spopolamento delle aree interne, dove agricoltura e zootecnica possono esprimersi al meglio senza impattare sull’ambiente. Una ragione di più per evitare il rischio che questo straordinario bene comune si trovi a essere negoziato con piccoli o grandi interessi di bottega.
Gaetano Pascale
presidente di Slow Food Italia
Fonte: slowfood
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