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Roccasecca dei Volsci e la Tradizione Olearia: Un Viaggio attraverso i Frantoi di Palazzo Massimo

Nel contesto della mostra Res Rustica, svoltasi dal 18 agosto al 17 novembre 2024 nei comuni dei Monti Lepini, Roccasecca dei Volsci ha offerto uno sguardo approfondito sulla sua storica produzione olearia, che risale a secoli lontani. Al centro di questa narrazione si trovano i frantoi di Palazzo Massimo, simbolo dell’importanza che la coltivazione degli olivi ha sempre avuto per l’economia e la cultura del paese. Attraverso un percorso che intreccia storia, economia e tradizioni, Roccasecca dei Volsci racconta una vicenda affascinante che ruota attorno all’olio d’oliva, prodotto d’eccellenza che ha segnato la vita di questa comunità per generazioni.

ROCCASECCA DEI VOLSCI: UNA STORIA LEGATA ALL’OLIVO

L’antica Roccasecca dei Volsci, così come veniva chiamata, si erge su un colle ameno, circondato da una vasta distesa di oliveti. Questa posizione privilegiata, unita alla massiccia presenza di alberi di olivo, ha reso Roccasecca un centro di produzione olearia di primaria importanza sin dall’alto medioevo. Gli olivi erano considerati una risorsa preziosa, protetti da macere, i tipici muretti a secco costruiti intorno agli alberi per proteggerli dalle intemperie e dal dissesto del terreno. La produzione di olio non era solo un’attività agricola, ma rappresentava una difesa del paesaggio e della comunità. Il territorio era controllato da diverse famiglie feudali, tra cui i Massimo, che governarono il paese per oltre duecento anni. A partire dal XVI secolo, l’olio di Roccasecca cominciò a guadagnarsi una reputazione sempre più prestigiosa, arrivando fino alla città di Roma, dove era molto apprezzato per la sua delicatezza.

LA FAMIGLIA MASSIMO E L’ASCESA DELL’OLIO DI ROCCASECCA DEI VOLSCI 

Uno dei personaggi più importanti nella storia olearia di Roccasecca fu il Cardinale Carlo Camillo Massimo (1620-1677). Durante il suo soggiorno forzato nel feudo di Roccasecca tra il 1658 e il 1662, il Cardinale non solo promosse la produzione di olio, ma ne fece un vero e proprio strumento di scambio. Documenti storici testimoniano come l’olio prodotto a Roccasecca venisse inviato a Roma in grandi quantità, spesso utilizzato dal Cardinale per acquistare libri e altre merci. In una lettera datata 8 gennaio 1659, conservata nell’Archivio Massimo, si legge: “Ho ricevuto la Ia del S. Bellori, et il libro dell’Agostini, al quale manderò l’oglio a suo tempo, che ora apena si è cominciato a fare”. Questa missiva evidenzia l’importanza commerciale dell’olio di Roccasecca, che veniva barattato con beni di valore intellettuale come libri, a testimonianza del prestigio che aveva raggiunto. L’olio prodotto nelle terre di Roccasecca era considerato di qualità così elevata che persino il feudatario si impegnava personalmente a controllarne la produzione e la distribuzione. Lettere successive, datate marzo dello stesso anno, documentano l’invio di trenta barili d’olio, di cui venti destinati a Leonardo Agostini, un illustre personaggio dell’epoca. L’economia di Roccasecca dei Volsci era così legata alla produzione olearia che già nel XVII secolo i feudatari emanavano regolamenti per i frantoi, disciplinando l’uso delle macine e la divisione dell’olio prodotto. Ogni cittadino era obbligato a portare le olive ai frantoi del feudatario, contribuendo con una parte del prodotto finito al mantenimento dell’infrastruttura. I frantoi di Palazzo Massimo erano tra i più avanzati della regione, utilizzando tecnologie che, sebbene rudimentali rispetto agli standard moderni, rappresentavano un’innovazione per l’epoca. Le macine, mosse da cavalli, erano un elemento centrale della produzione olearia. Le cronache dell’epoca ci raccontano anche dettagli curiosi: per ogni giornata di macina, il cavallo che girava la macina doveva essere nutrito con due fascine di fieno e due boccali di biada, come stabilito dalle regole feudali. Nel Settecento, la famiglia Gabrielli, successori dei Massimo nel dominio del paese, modernizzò ulteriormente i frantoi, introducendo il sistema a pendoloni, in cui pesanti pietre premevano la sansa per estrarre l’olio, e successivamente il più efficiente sistema alla Tiburtina, con torchi a vite che permettevano una maggiore resa.

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Oggi, uno dei simboli di questa antica tradizione è il Museo dell’Olio e delle Tradizioni Popolari di Roccasecca dei Volsci, ospitato proprio all’interno di Palazzo Massimo. Questo museo, oltre a conservare antichi macchinari utilizzati nella produzione olearia, come frantoi con macine di granito, separatori e centrifughe risalenti alla metà del XX secolo, custodisce un pezzo fondamentale della storia locale: il torchio a vite in legno, scelto come oggetto simbolo della mostra Res Rustica. Il torchio a vite, rappresenta al meglio l’innovazione tecnologica che ha caratterizzato la produzione olearia di Roccasecca durante il dominio della famiglia Massimo. Questo strumento, utilizzato per la pressatura delle olive, era un elemento chiave per ottenere un olio di qualità superiore. Esso simboleggia non solo il duro lavoro degli agricoltori, ma anche l’ingegno e la capacità di adattarsi e migliorare le tecniche di produzione.

Attraverso l’esposizione di macchinari storici e la narrazione delle vicende legate alle grandi famiglie feudali come i Massimo e i Gabrielli, Roccasecca dei Volsci riafferma il suo legame con una tradizione che ha attraversato i secoli e che, ancora oggi, è viva nella memoria e nel paesaggio. Il torchio a vite, simbolo della mostra, ci ricorda come l’olio d’oliva sia stato un elemento vitale nella storia del paese, rappresentando un ponte tra passato e presente, tra tradizione e modernità.

Articolo di: Sinopoli Francesco
Testo di riferimento: Catalogo della Mostra Res Rustica: L’Agricoltura dei Monti Lepini nel Tempo

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