È un’iniziativa ideata e coordinata da Slow Food Italia, mirata alla definizione di una proposta, rivolta alle istituzioni e alla società civile, per una nuova idea di sviluppo e benessere, conforme ai caratteri dei territori appenninici. I lavori, iniziati nel marzo del 2013, hanno prodotto un documento condiviso.
Su questo, nel novembre scorso, nei comuni del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, si sono tenute tre giornate aperte di riflessione e confronto. Il risultato è il presente documento, che viene offerto come piattaforma programmatica su cui ricercare convergenze pubbliche e private.
Con l’iniziativa Stati Generali delle Comunità dell’Appennino vogliamo proporre una nuova idea di montagna, muovendo da due grandi temi drammaticamente attuali – quello dei giovani e quello del lavoro – intrinsecamente legati nella prospettiva futura delle nostre Comunità dell’Appennino. Crediamo esista la possibilità di rimettere al centro di un’elaborazione di livello nazionale il ruolo che le cosiddette zone marginali possono avere nella costruzione di un’economia locale di nuova concezione, profondamente legata alle radici culturali, produttive e socioculturali di un territorio. Per fare questo sono necessari molto pensiero, molta cura, molta conoscenza e molta politica, per arrivare a considerare la montagna come risorsa, slegandola, nell’immagine e nei fatti, dalla semplice logica del sussidio, rimarcando la necessità che essa venga compensata per i suoi elementi di servizio al bene collettivo e sostenuta nelle sue fragilità al fine di esprimere tutte le potenzialità che possiede; ed è possibile raggiungere tutto questo solo a partire dall’idea forte dell’uomo “consapevole”1 e
responsabile nel territorio in cui vive.
La montagna appenninica è segnata da uno svantaggio economico e sociale generale: svantaggio per gli abitanti (spopolamento, impoverimento dei servizi, distanze dai servizi centralizzati), svantaggio per le imprese (trasporti, costi di impresa e di produzione), svantaggio per l’agricoltura (pendenze, profondità dei suoli, dimensione e frammentazione proprietaria degli appezzamenti e degli appoderamenti, mercati…), solo per citarne alcuni.
È necessario fare emergere l’importanza strategica dell’avere un territorio in equilibrio con le comunità: questo binomio è in grado di creare, mantenere e gestire risorse fondamentali per tutti come l’acqua, l’aria, il bosco e una biodiversità unica; in pratica il complesso di “ambiente” e di presenza umana. Un complesso che dovrebbe vivere di attività produttive funzionali al territorio in cui avvengono, forme di turismo sostenibile, agricoltura e selvicoltura di qualità. Le nuove generazioni devono essere il nostro primo pensiero perché solo creando le condizioni affinché restino nelle comunità di origine possiamo permettere alle Comunità dell’Appennino di continuare a vivere attivamente sui propri territori, terre ricche di fermenti sociali, culturali ed economici.
Il nostro Paese ha bisogno di giovani che raccolgano il testimone di volontà e tenacia delle popolazioni dell’Appennino e riportino in quelle aree la vita e l’operosità. Il modello che ha dominato gli ultimi decenni ha inequivocabilmente mostrato i suoi limiti e oggi tutti i territori, montuosi e non, stanno pagando i danni causati da uno sviluppo che non ha saputo capire un nuovo equilibrio basato sulla qualità dell’ambiente, dell’economia e del lavoro e che si è accompagnato a miopia programmatica quando non a incuria.
a) L’ambiente abitato è la priorità
Parlare di ambiente in Appennino richiama elementi apparentemente inconciliabili. Abbiamo vaste e importanti aree protette, in un sistema di Parchi che si trova oggi, indipendentemente da questa nostra riflessione, al centro di un ripensamento complessivo a partire dalla legge 394 del 1991 che lo regola. Quando si parla di parchi, e in genere di boschi e foreste, si pensa all’importanza di una tutela ambientale di aree naturali, patrimonio dell’intero Paese. Tuttavia è necessario porre l’attenzione anche sulle aziende agricole che in questi territori operano e che contribuiscono a mantenere in vita quella “biodiversità agricola” di cui l’associazione Slow Food si fa da sempre paladina e promotrice. Assieme a questi aspetti fondanti, inoltre, dobbiamo considerare il ruolo della selvicoltura che, se oculatamente esercitata, si traduce in energia sostenibile e lavoro per le popolazioni locali, in gestione faunistica e turismo sostenibile. Bisogna dunque contrastare l’idea che quello che sta fuori dai Parchi debba conoscere uno sviluppo che ignora, in termini di preservazione e valorizzazione,
i fattori ambientali. Anzi, i Parchi devono sempre più diventare laboratorio di sviluppo sostenibile, fornendo indicazioni anche per le zone limitrofe. Gli aspetti forestali e gestionali del territorio montano rivestono, direttamente o indirettamente, la massima rilevanza per le Comunità dell’Appennino. Una corretta politica a favore di questi territori deve avere una particolare attenzione ai seguenti punti:
1. mantenimento nei territori montani degli apparati tecnico amministrativi competenti in materia di gestione del territorio forestale e vincolo idrogeologico;
2. individuazione e facilitazione di ulteriori e più efficaci forme di collaborazione pubblico-privata al fine di utilizzare le terre pubbliche e collettive per l’agricoltura e l’allevamento, e/o il loro affidamento in concessione a chi si impegna alla realizzazione di attività di migliorie nel territorio;
3. realizzazione di attività che favoriscano la ricomposizione fondiaria al fine di permettere una gestione forestale ecosostenibile;
4. attuazione di interventi per la manutenzione delle aree di sosta attrezzate, della rete escursionistica e dei rifugi delle strade di servizio privilegiando l’esperienza positiva delle convenzioni con aziende agricole locali, la presenza nei territori delle guide ambientali, la possibilità di coinvolgere a vario titolo le scuole, le case di riposo, gli istituti di prevenzione e pena, e in generale tutti gli attori che insistono sul territorio e possono collaborare a una presa in carico della manutenzione necessaria;
5. realizzazione e facilitazione di interventi selvicolturali previsti dai piani di gestione forestale anche attraverso l’affidamento degli interventi medesimi ad aziende agricole locali, o a privati professionalmente capaci, residenti sul territorio, da ricercare anche fra coltivatori diretti; a loro potrebbe essere richiesto, anziché un esborso di denaro, la manutenzione dei sentieri, dei muretti… ;
6. realizzazione di attività volte alla conservazione di un corretto equilibrio sul territorio tra bosco e pascolo, con particolare attenzione alla gestione del margine del bosco. Date per acquisite queste considerazioni generali, i tre temi chiave su cui riflettere e lavorare, quando si parla di ambiente in Appennino, sono quelli dell’economia, dell’energia e della relazione tra natura e produzione agricola.
a.1 L’economia
Il ragionare sul fare economia nelle aree appenniniche a più alta vocazione naturalistica, e segnatamente nelle aree protette, non deve dunque far accantonare la riflessione sulla qualità della vita nelle aree contigue né sulla considerazione non solo di chi arriva in qualità di turista o torna come operatore economico, ma di tutti quelli che hanno avuto la costanza e la caparbietà per rimanere e presidiare fino a oggi un territorio. Occorre un’assunzione di responsabilità collettiva: se da un lato i gestori e i residenti devono occuparsi del territorio in sé, dall’altro le zone di valle e le pianure devono riconoscere il beneficio di cui anch’esse godono in virtù di un Appennino economicamente sano. I Parchi sono un mezzo potenzialmente adeguato per lo sviluppo delle economie locali, a partire certamente dal turismo sostenibile, ma senza dimenticare che questo ha bisogno di servizi, di agricoltura e di infrastrutture. Un atteggiamento di mera e poco lungimirante conservazione può risultare controproducente sia dal punto di vista economico sia da quello degli equilibri ambientali e sociali. L’Appennino è stato spina dorsale economica della nazione fino alle grandi guerre, perché l’economia del paese si fondava sul sistema agro-silvo-pastorale: è grazie a quanto è rimasto – tenace presidio e non residualità – di quel tipo di economia se oggi si coltivano ancora prodotti di eccellenza che diventano i messaggeri di intere aree.
Le opportunità economiche sono molte e con un alto tasso di variabilità interna. Vediamo nel dettaglio alcune delle possibili proposte:
– l’utilizzo di parte delle tasse di soggiorno alberghiere a favore di chi mantiene un paesaggio che è la prima fonte di attrattività per i turisti;
– l’innalzamento delle quote ristoro delle grandi concessionarie delle acque minerali, che oggi pagano cifre irrisorie rispetto ai fatturati e comunque nulla di quelle cifre viene destinato a chi consente non solo di mantenere integre le sorgenti ma anche di costruire un’immagine del prodotto basata sulla qualità ambientale;
– anche sull’acqua pubblica è possibile realizzare economie per i territori. Una buona pratica in quest’ambito è quella di Romagna Acque, che destina il 4% delle entrate ai Comuni che ospitano la diga, anche per favorire il turismo e svolgere attività di comunicazione sull’importanza dell’acqua;
– dal momento che il 65% delle superfici boschive è di proprietà privata, è opportuno e possibile incentivare la gestione del bosco da parte dei privati, che invece sempre più spesso iniziano a considerare l’ereditare un bosco come una disgrazia;
– l’alleggerimento del carico burocratico che colpisce tutti gli operatori economici delle aree protette, che oggi vedono allungarsi a dismisura i tempi e appesantirsi i costi delle autorizzazioni di cui hanno bisogno per lavorare, sarebbe di per sé una opportunità economica;
– i residenti sono non solo operatori economici diretti ma anche, direttamente o indirettamente, tutori del paesaggio: su questo assunto bisognerebbe basare la stipula di contratti che riconoscano questo ruolo affidando loro la gestione e la manutenzione di infrastrutture;
– le guide ambientali sono una risorsa sottoutilizzata; possono e devono essere coinvolte nella manutenzione della sentieristica di tutta la rete escursionistica;
– i Parchi, mantenendo quale proprio primo obiettivo la tutela della natura, devono operare affinché si sviluppino azioni di valorizzazione socioeconomica delle popolazioni locali, partendo dalle attività che tradizionalmente si svolgono nelle aree protette, come le attività agricole e forestali oltre a quelle strettamente connesse al turismo;
– i Parchi devono volgersi a una nuova cultura, anche grazie a una coraggiosa modifica della 394 che li equipari a un bene comune. Devono alleggerire la loro burocrazia (con la collaborazione degli organi centrali dello Stato), dedicare risorse alla formazione e soprattutto svecchiare l’attuale assetto dell’organizzazione del lavoro e dell’amministrazione, in modo da diventare modelli e laboratori di sviluppo socioeconomico per tutto il territorio appenninico e non solo per quello di loro competenza;
– le trasformazioni sociali che investono tutto il Paese non fanno eccezione per il territorio appenninico, la cui alta vocazione agricola attira manodopera straniera che vi si stabilisce spesso in maniera definitiva e che nel giro di una o due generazioni troverà piena integrazione anche dal punto di vista imprenditoriale. Essa è già oggi una risorsa importante per questi territori, i quali stanno imparando a convivere con culture geograficamente lontane, ma simili per sensibilità e le competenze agricole: una delle speranze di ripopolamento dell’Appennino sta anche in queste dinamiche e occorre lavorare affinché il senso della comunità si rafforzi;
– bisogna valorizzare l’importanza delle soluzioni produttive a basso impatto tecnologico (dalla bioedilizia alle macchine per la meccanizzazione di determinati lavori agricoli), consone, per esempio, a molto artigianato funzionale all’agricoltura; esse hanno caratteristiche adatte a territori decentrati, poiché sono di facile assimilazione, riproduzione e manutenzione. L’economia delle competenze e della loro trasmissione nei territori è un altro dei settori su cui concentrarsi.
a.2 L’energia
La produzione energetica da fonti rinnovabili deve essere considerata una delle possibilità economiche e di sviluppo delle aree appenniniche. Rispetto alla media europea, che è del 64%, in Italia l’utilizzo dell’incremento boschivo annuo si assesta mediamente sul 19%. Considerando che l’80% del territorio appenninico è bosco, risulta evidente come sussistano preoccupazioni sull’intaccare il capitale boschivo con produzioni di energia. Tuttavia la riflessione deve dare la precedenza alla sostenibilità e quindi considerare imprescindibile il riferimento alle microfiliere (sia nel senso delle dimensioni produttive sia nel senso della lunghezza, ovvero della quantità di passaggi necessari, e infine nel senso del numero di attori coinvolti), alla necessità della gestione di un limite numerico anche di queste iniziative, alla pianificazione delle effettive necessità di energia e disponibilità di biomassa e alla necessità di non considerare questo elemento come l’unico fattore di razionalizzazione energetica. La riqualificazione degli edifici pubblici e privati e l’educazione al risparmio energetico sono elementi altrettanto importanti per lo sviluppo, anche (ma non solo) economico, del territorio. È importante sorvegliare questi processi al fine di evitare che la produzione di energia da fonti rinnovabili diventi occasione di speculazione. Garantirsi una produzione energetica locale, economicamente sostenibile e di piccola scala, inoltre, aiuterebbe a mitigare i fenomeni di scarsa trasparenza, in termini sia fiscali sia legali, che spesso caratterizzano questo mercato, ancora immaturo nel nostro Paese. Va infine ricordato che il protocollo di Kyoto non prevede crediti per la presenza o l’incremento della superficie boschiva, mentre li prevede per l’efficienza che la foresta stessa può offrire attraverso una corretta gestione: anche questo può essere considerato una parte della dote che oggi l’Appennino può portare all’intero Paese. In quest’ambito una buona pratica è quella del Consorzio Comunalie Parmensi di Borgo Val di Taro (Parma), che nelle proprietà collettive a uso civico ha creato un’economia che ruota attorno alla raccolta dei funghi, gli unici in Europa ad aver ottenuto il marchio Igp. Per favorire questa produzione spontanea il Consorzio ha sperimentato tecniche di gestione forestale, basate sul ringiovanimento e diradamento del bosco, volte a instaurare il microclima idoneo alla nascita dei funghi. Il materiale legnoso ricavato da questi interventi, oltre a seguire il mercato della legna da ardere, è trasformato in cippato che viene venduto in ragione della sua resa energetica (quindi a un prezzo più alto rispetto alla vendita a peso). Il risultato di queste economie collegate tra loro si calcola in circa un milione di euro l’anno per i permessi di raccolta funghi, con circa 100 000 presenze che vanno inoltre a influire sulle attività di ricezione turistica, e in 70 000 euro l’anno per la vendita del cippato.
La produzione energetica da biomasse forestali può dunque essere un elemento di grande interesse nello sviluppo locale e delle imprese agricole e forestali, ed è ambientalmente compatibile se gestita in regimi di microfiliera; essa deve essere coordinata da una “gestione forestale sostenibile certificata” che inizi da una preventiva valutazione della massa legnosa ritraibile localmente. In ogni caso vale la pena sottolineare ancora l’importanza e la necessità di attuare politiche educative che riguardino in via più complessiva il risparmio energetico, e politiche economiche che guardino con favore alla riqualificazione energetica oltreché sismica degli edifici pubblici e privati.
a.3 Le risorse naturalistiche e la produzione agricola
Per quanto riguarda le dinamiche di coesistenza tra produzione agricola e risorse selvatiche, con particolare riferimento alla fauna, esse si inseriscono a infittire il quadro già complesso della coesistenza tra agricoltura e pastorizia. Bisogna fare in modo che elementi in apparenza inconciliabili vengano a una composizione, attraverso l’elaborazione di alcune misure che possano legare la risorsa faunistica all’economia del territorio e in generale alla protezione delle risorse. Le misure su cui riflettere possono configurarsi in diversi modi, non esclusivi:
– un sistema di “indennità di rischio”, che potrebbe nascere da una profonda revisione delle normative che regolano la caccia. Un’indennità che compensi gli agricoltori non in virtù di danni subiti, ma per il costante fattore di rischio in cui si trovano, di fatto, le loro colture e al contempo li ripaghi del fatto che in buona parte sono coloro che (sia pure involontariamente e loro malgrado) alimentano la fauna selvatica, e in particolare gli ungulati;
– attività tese al rafforzamento delle sensibilità ambientali dei cacciatori, al fine di renderli pienamente consapevoli del fatto che, in un paesaggio impoverito umanamente, abbandonato dal punto di vista agricolo e senza attrattive di carattere naturalistico, lo stesso esercizio della caccia perderebbe di senso, anche e proprio in presenza di una sovrabbondanza di fauna venatoria;
– un miglioramento della legge 394 sui Parchi che consenta non – come è oggi – l’intervento dei Parchi solo a riparare danni conclamanti, ma la prevenzione del danno attraverso rilevazioni e riequilibri specifici;
– la formazione e/o la valorizzazione di figure professionali inerenti alla gestione della fauna selvatica, che lavorino di concerto con i pianificatori delle risorse forestali e di quelle agricole. Oggi queste figure sono considerate marginali e poco rilevanti ai fini economici, mentre potrebbero far parte della soluzione di un problema complesso.
Come avviene per i raccoglitori di funghi, anche la presenza di cacciatori si traduce in risorsa economica per le popolazioni residenti (ricezione turistica e in generale utilizzo delle attività commerciali del territorio); tuttavia, a differenza di quel caso, in questo momento le attività venatorie non si sposano quasi mai alla corretta gestione delle risorse e solo in alcuni Paesi europei ed extraeuropei
si coinvolgono i cacciatori in attività ambientalmente rilevanti.
b) L’agricoltura. Il contadino a triplice attitudine
Per ragionare di agricoltura in Appennino occorre ribadire alcuni enunciati per noi irrinunciabili:
– le aree appenniniche sono una ricchezza per l’intero Paese
– l’agricoltura è l’architrave del sistema economico appenninico
– la preservazione del sistema agricolo è condizione fondamentale per la tutela del territorio
– la tutela della biodiversità è il presupposto dell’agricoltura di questi territori per uno sviluppo multifattoriale.
Il declino dell’agricoltura nelle zone di montagna fa avvertire con sempre maggiore urgenza il dilemma di base: “montagna con l’agricoltura o senza agricoltura?”. Non sembri superfluo, dunque, ribadire qui che non vi può essere un’idea compiuta di territorio montano senza agricoltura, non solo perché le coltivazioni e gli allevamenti caratterizzano e costruiscono il paesaggio (alla base di ulteriori attività economiche e produttive, come quelle innescate dal turismo), ma soprattutto perché l’esercizio dell’agricoltura e del governo del bosco assicurano una presenza attiva dell’uomo sul territorio, che a sua volta si traduce in elemento di tutela per l’ecosistema.
In accordo con la nuova politica agricola comunitaria e con i Piani di sviluppo rurale, è necessario scegliere di indirizzarsi alla salvaguardia dell’agricoltura e, soprattutto, è necessario il coinvolgimento degli agricoltori, considerando con un approccio nuovo le interrelate funzioni dell’agricoltura nelle aree montane. Questo si riassume nella ridefinizione dell’imprenditore agricolo come imprenditore agricolo a triplice attitudine, ovvero imprenditore/produttore, commerciante, gestore del territorio.
Occorre, nel concreto, lavorare per arrestare l’abbandono delle terre coltivate e quindi dell’attività agricola, favorendo molte interazioni, tra cui spicca quella tra mondo agricolo e turismo rurale. In questo modo possiamo ottenere:
– difesa diretta del territorio e del paesaggio
– difesa delle colture, e dunque delle culture
– integrazione di reddito.
Questo impegno deve partire da una riconsiderazione dell’agricoltura di montagna, che da anni viene sistematicamente promossa ma mai praticata, e dunque dell’agricoltore nella sua veste completa di produttore di materie prime e/o di prodotti agricoli trasformati, e anche di gestore del territorio.
Il risultato al quale tendere non è solo una giusta remunerazione per i prodotti nel territorio montano, ma il ripopolamento delle terre coltivate – garantendo il rispetto rigoroso dei criteri di zonizzazione dei Parchi – e quindi la ripresa e l’incremento dell’attività agricola, ponendo attenzione – come già specificato altrove – alle diverse esigenze delle aree protette rispetto alle altre.
Per ottenere ciò risulta strategico portare il mondo dell’agricoltura, cardine dello sviluppo economico e sociale delle zone montane, a investirsi del ruolo imprenditoriale: questo significa non limitarsi alla mera produzione delle materie prime ma, anche mediante incentivi e sostegni da parte dagli Enti preposti, alla loro trasformazione e valorizzazione, in modo da ottenerne il massimo reddito possibile, attraverso la messa in chiaro delle componenti ambientali, socioculturali, nutrizionali e organolettiche che costituiscono il loro essere “di qualità”. I prodotti dell’agricoltura di montagna sono infatti in qualche modo “condannati” all’eccellenza, sia perché devono compensare la piccola scala con il valore aggiunto, sia perché proprio nelle aree montane si verificano più facilmente che altrove le condizioni ideali per la produzione di cibo “buono, pulito e giusto”.
È quindi necessario tendere a una forte interazione fra mondo agricolo e turismo rurale, attraverso una consapevole valorizzazione delle produzioni agricole di qualità, mettendo in continuo e stretto rapporto le strutture ricettive con le aziende agricole, facendo sì che questa interazione diventi strumento costante di monitoraggio e valorizzazione dell’intero territorio montano.
A tal fine occorre innanzitutto diffondere e radicare la consapevolezza della funzione di presidio che l’agricoltore può svolgere nelle zone collinari e montane; lottare quindi per fare recuperare valore alla “compensazione al reddito” quale principale strumento integrativo al disagio di lavorare in zone che, oltre a richiedere maggiori spese di produzione, hanno inevitabilmente minori rese; ma nelle quali è possibile – oltre che vitale – garantire servizi ecosistemici quali la tenuta del territorio, del suo paesaggio, della sua cultura sociale.
Per rendere funzionale e praticabile questo percorso, in primo luogo è necessario garantire un sostegno forte, che strutturi i percorsi di crescita nella direzione dell’associazione fra imprese. Una assistenza fatta principalmente di un “pubblico” capace di percepire le opportunità e trasferirle immediatamente nel mondo agricolo e, conseguentemente, lavorare affinché si riduca in maniera drastica il carico burocratico a cui è sottoposto. È necessario dunque che gli Enti locali concentrino i loro sforzi e accompagnino direttamente le imprese agricole presenti nel territorio con speciale riferimento alle principali istanze relative all’agricoltura di montagna:
– gestione e valorizzazione della fauna selvatica in rapporto alla attività agricola anche attraverso una profonda revisione delle normative in materia di caccia, in modo da considerare una indennità di rischio per agricoltori e allevatori oppure soluzioni che permettano una remunerazione diretta del coltivatore in funzione del patrimonio faunistico che viene prelevato sui suoi terreni;
– necessità di percorsi di valorizzazione e commercializzazione, anche e soprattutto locali, dei prodotti tipici derivati da produzioni agricole locali e di qualità, nello spirito di valorizzazione della filiera corta;
– interazione tra agricoltura del territorio e ristorazione collettiva e privata;
– formazione alla multifunzionalità aziendale;
– alleggerimento e snellimento delle procedure amministrativo/sanitarie per le piccole produzioni agroalimentari.
Gli ultimi due punti potrebbero beneficiare della riproposizione delle storiche “cattedre agricole ambulanti” capaci di riportare il funzionario pubblico in azienda al fine di sostenerne la crescita. Più nel dettaglio, al fine di mantenere un sistema appenninico in grado di dare futuro alle proprie comunità e di creare opportunità per nuovi insediamenti, in considerazione dell’agricoltura quale asse portante, si sottolinea l’urgenza di realizzare:
– una politica organica per le aree interne;
– le condizioni per la riproducibilità del sistema al fine di garantire un futuro alle Comunità Appenniniche;
– adeguati mercati per le produzioni agricole;
– il mantenimento o il ripristino dei necessari servizi.
È necessario che si dia corpo a un’idea di agricoltura capace di valorizzare il patrimonio di distintività che caratterizza la produzione primaria nei territori appenninici, come valore in sé e come volano dell’attività turistica.
Diventa quindi fondamentale garantire la continuità insediativa e produttiva delle attività agricole presenti in Appennino, e al contempo incentivare quanti vogliano stabilirvisi avviando nuove attività, attraverso la redazione e l’aggiornamento di norme che assumano quale indirizzo i principi sopra enunciati, attraverso azioni di sgravio fiscale e incentivi alla permanenza. È inoltre necessario che gli Enti competenti, i Piani di sviluppo rurale e i Gruppi di azione locale mettano in atto una politica organica in favore delle aree montane, partendo dalla creazione, in riferimento ai punti distintivi del primo pilastro della Politica comunitaria, di un sottoprogramma “montagna” dedicato, per l’individuazione di fondi appositamente destinati.
Per meglio affrontare le criticità che incontra l’agricoltore e cogliere le opportunità che gli si possono presentare, occorre stimolare e sostenere l’aggregazione di imprese, essenziale al fine di affrontare la ricerca, l’infrastrutturazione e l’accesso al mercato in modo da fare arrivare le merci nelle condizioni ottimali per avere il riconoscimento di prezzo, cuore del reddito di impresa.
È necessario poi, come già sottolineato, considerare il ruolo dell’agricoltore nella gestione faunistica, con particolare riguardo alle specie soggette ad attività venatoria.
Oggi gli Appennini possono costituire un’opportunità di lavoro e di vita per le giovani generazioni, ma occorre non disperdere il patrimonio di saperi che sono un’indispensabile chiave di lettura di questi territori complessi per poterli proiettare nel futuro del nostro Paese.
c) Il turismo consapevole
Se in apertura di documento abbiamo detto che la qualità dell’ambiente è la condizione sine qua non per la realizzazione di qualunque attività economica, inclusa quella agricola, possiamo guardare al turismo come alla prova del nove della qualità delle pratiche attuate su un territorio. Se le politiche ambientali sono efficaci, se la produzione agricola di qualità viene incoraggiata e protetta, se la connessione tra i vari ambiti tematici e produttivi non viene ignorata, allora il turismo potrà essere un punto di arrivo e di ripartenza delle attività di un territorio e potrà configurarsi come un ulteriore strumento di coerenza e di protezione, in altre parole di sostenibilità del sistema.
L’Appennino rappresenta oggi – e forse ha sempre rappresentato – con il suo contributo di forza lavoro, sapienze e capacità, sia pure spesso migrate a valle nei secoli, una risorsa. In una crisi di sistema come quella che stanno attraversando il nostro Paese e buona parte d’Europa, non è ammissibile avere una risorsa e non metterla a valore. Il turismo in area appenninica deve (per riuscire a essere realmente fattore di sviluppo economico – ma di un’economia compatibile con gli equilibri territoriali e sociali) rappresentare un elemento di interconnessione tra le diverse microeconomie locali.
Ci riconosciamo nella enunciazione della Carta di Lanzarote del ’95 che all’articolo 1 stabilisce che «lo sviluppo del turismo deve essere basato sul criterio della sostenibilità, ciò significa che deve essere ecologicamente sostenibile nel lungo periodo, economicamente conveniente, eticamente e socialmente equo nei riguardi delle comunità locali. Lo sviluppo sostenibile è un processo guidato
che prevede una gestione globale delle risorse per assicurare la redditività, consentendo la salvaguardia del nostro capitale naturale e culturale. Il turismo, come potente strumento di sviluppo, può e dovrebbe partecipare attivamente alla strategia di sviluppo sostenibile. La caratteristica di una corretta gestione del turismo è che sia garantita la sostenibilità delle risorse dalle quali esso dipende».
Il turismo deve essere per l’Appennino un elemento di contaminazione e dialogo tra culture, tra l’identità della comunità e quella del residente “di ritorno” o del turista (o residente temporaneo), sia esso nazionale o di provenienza estera. Per questo dobbiamo pensare a un turismo di incontro e non solo di fruizione, e dunque a un prodotto turistico multimotivazionale riferito a un pubblico dalle molteplici provenienze e dagli obiettivi sempre più specialistici e, per questo, esigente.
In questo quadro le azioni da tradurre in pratiche e politiche sono le seguenti:
– riappropriarsi delle tradizioni, della storia, della profonda cultura del nostro popolo per diventare partecipi di uno sviluppo turistico sostenibile diffuso;
– rafforzare e diffondere l’orgoglio per quanto è presente nel territorio appenninico per comunicarlo a tutti gli interlocutori possibili;
– far sì che l’attrattività del territorio si distribuisca – senza perdere coerenza – lungo tutto l’anno, mettendo in stretta relazione tutte le offerte tipiche di un territorio montano ricco di storia e di natura;
– fare in modo che i territori esterni alle aree protette possano beneficiare del ruolo di volano di queste ultime, che sono in grado di comunicare efficacemente le caratteristiche di naturalità del territorio, ma anche la presenza strutture ricettive;
– favorire il mantenimento e il ripristino del patrimonio edilizio – anche quello in quota dei rifugi di montagna – realmente necessario all’escursionismo attraverso la defiscalizzazione degli interventi necessari.
Anche qui la parola qualità diventa centrale, a proposito degli eventi che le comunità locali ritengono rispecchiare la loro più profonda identità, quelli più sentiti e amati. Eventi che abbiano un taglio spiccatamente culturale, naturalistico, sportivo o enogastronomico e quindi, lo ribadiamo, siano attenti a non tradire, con iniziative incoerenti, proprio le caratteristiche che vogliono promuovere.
Queste iniziative dovranno generare presenze turistiche attraverso la proposta di esperienze appetibili da precisi target di turisti: disposti a comprendere il territorio e a instaurare con esso e con i suoi abitanti una relazione di scambio – che contempli la prospettiva del ritorno – e di scoperta dei suoi tesori, della sua natura, della sua agricoltura di qualità.
In quest’ottica l’organizzazione di iniziative di animazione e intrattenimento di qualità da parte dei soggetti pubblici, e in particolare dei Parchi e delle Pro Loco, dovrà essere accompagnata dalla predisposizione di offerte commerciali e ricettive correlate e complementari.
È perciò opportuno dotare il territorio di nuovi strumenti per la valorizzazione di tutti i sistemi capaci di collegare il sistema storico culturale con il sistema delle aree protette utilizzando, quale collante, la rete di strutture ricettive alberghiere ed extralberghiere e le aziende agricole storicamente presenti sul territorio al fine di arrivare:
– alla costruzione e promozione di circuiti, itinerari ed escursioni che valorizzino organicamente le diverse peculiarità del territorio;
– ad arricchire il prodotto di elementi emozionali, che permettano al turista di vivere un’esperienza che genera un ricordo;
– a connotare il territorio di riferimento con una più chiara identità, individuando le sue unicità e puntando sulla valorizzazione dell’ambiente, della presenza umana e della sua tradizione, al fine di comunicare gli elementi caratterizzanti le Comunità appenniniche;
– a creare un circuito di fattorie in grado di coinvolgere i co-produttori nei lavori aziendali (vedi
agriturismo prima maniera, o woofing);
– a ripristinare la viabilità solamente secondaria in un percorso unico a piedi o a cavallo che colleghi tutto l’Appennino (una sorta di “via appenninica”) con un’unica mappatura delle soste in quota (rifugi) presso le strutture “produttive”;
– a favorire l’interazione tra aree protette e aree confinanti per la valorizzazione del prodotto agroalimentare di qualità.
È bene, insomma, che tramonti definitivamente l’immagine turistica di un format Appennino fatto di rituali folclorici scollegati da qualunque base culturale, di tradizioni improbabili e genuinità posticce: l’identità culturale ed etnoantropologica dell’Appennino deve ritornare a conoscere le proprie radici perché solo attraverso l’autenticità è possibile trasmettere un messaggio ricco di senso e di relazione.
Il raggiungimento di un obiettivo così complesso necessita però anche di un sistema di condivisione tra le amministrazioni interessate dai territori appenninici su temi comuni, le cui modalità di raccordo possano essere funzionali a un più puntuale, incisivo ed efficace intervento degli strumenti locali, nazionali e comunitari.
I fondi destinati alla ricerca, per esempio, possono trovare destinazione anche nelle aree di montagna; per questo bisognerebbe estendere e/o creare progetti di “osservatorio” relativi alle discipline turistiche e affini in zone appenniniche, con ricadute in ambito di ricerca, sperimentazione e sviluppo tecnologico che possano spostare l’attrattiva occupazionale (e di investimenti pubblici e privati) verso l’ambiente montano con un congruo ritorno in termini di utilità per gli operatori di ambito turistico montano.
Reperire risorse consentirebbe inoltre di lavorare da un lato alla formazione di nuove figure professionali nel turismo che si sostituiscano a (o che aggiornino) quelle attuali, troppo spesso non adeguate alla promozione del sistema Appennino o non in sintonia con la matrice culturale dei luoghi; e dall’altro lato alla sensibilizzazione del mondo scolastico anche come bacino d’utenza plurigenerazionale.
In entrambi i casi la popolazione locale sarebbe l’attore principale, sia come fruitrice della formazione sia come elemento di trasmissione di conoscenze, informazioni, protagonista di una cultura dell’accoglienza.
Anche gli elementi di carattere eminentemente tecnologico beneficerebbero di politiche istituzionali collegate tra loro: si rileva innanzitutto la necessità di sviluppo della banda larga, che subisce una forte penalizzazione e grandi disservizi nei territori appenninici, per favorire le comunicazioni, la trasmissione dei dati e le attività a esse connesse. Una comunicazione “immateriale” che può in molti casi contrastare la spinta alla realizzazione di viabilità “materiale” e al consumo di suolo.
Ed eccoci a uno dei grandi temi solitamente connessi all’idea di sviluppo turistico: la viabilità appenninica non può e non deve puntare su grandi assi, ma può invece affidarsi al reticolo stradale esistente, che però, nella stragrande maggioranza dei casi, necessita di forti interventi di manutenzione, nell’ottica di migliorare e potenziare il trasporto, sia pubblico sia privato. Elemento laterale, ma non disgiunto, è quello relativo alla viabilità alternativa di montagna e alla sentieristica, che rappresentano una grande risorsa troppo spesso non adeguatamente sostenuta, conservata e promossa.
Infine occorre considerare il tema della fiscalità, che deve prevedere agevolazioni e detrazioni a sostegno delle popolazioni residenti e all’impresa che intende investire in Appennino.
Un aspetto non secondario, di cui abbiamo già accennato nella sezione relativa all’ambiente, è quello relativo ai crediti ambientali, ovvero al ritorno in termini economici alle popolazioni locali del valore prodotto dall’ambiente. È importante che vengano tracciate linee guida che consentano questo riconoscimento.
In ultimo riteniamo di riconoscere nel progetto e nell’esperienza delle cooperative di comunità una formula interessante di coinvolgimento delle popolazioni locali in attività di accoglienza turistica di natura imprenditoriale, così come degna di attenzione è l’incentivazione rivolta alle giovani coppie e finalizzata alla scelta residenziale in Appennino che alcuni Comuni hanno già applicato in diverse zone del Paese.
Si è convenuto infatti che anche e soprattutto attraverso il coinvolgimento delle giovani generazioni, siano studenti, nuovi agricoltori, imprenditori, guide ambientali, nuovi residenti per scelta o per ritorno, sarà possibile immaginare il futuro dell’Appennino, l’Appennino che verrà.
d) Industria e artigianato
Le zone collinari e montane dell’Appennino hanno conosciuto diverse tipologie evolutive dal punto di vista artigianale e industriale. Alcuni territori hanno realizzato uno sviluppo, anche repentino, che ha determinato il trasferimento delle popolazioni dalle campagne ai centri abitati di fondovalle; in altri casi interi comprensori si sono completamente desertificati trasferendo i propri popoli o nei centri industriali a ridosso delle grandi città di pianura e di costa o in altre nazioni.
A partire dalla metà degli anni Novanta, e con maggiore evidenza negli ultimi anni, il tessuto artigianale e industriale residuo in Appennino ha cominciato a perdere importanti punti di riferimento. La globalizzazione, e con essa l’emergere di nuovi protagonisti sulla scena mondiale e di riflesso sul mercato locale, ha messo in discussione il ruolo che il nostro Paese aveva come nazione trainante del manifatturiero mondiale portando, principalmente, i suoi colpi più duri in quei territori montani dove i costi di produzione, come si è detto, sono maggiori.
In questo scenario di grande concorrenza, le imprese lontane dalle grandi vie di comunicazione, e quindi con maggiori costi logistici, hanno subito una forte penalizzazione dovuta in parte alla globalizzazione ma, soprattutto, alla mancanza di adeguate infrastrutture e servizi capaci di contrapporre l’elevata qualità del prodotto italiano alla quantità del prodotto estero.
È oggi di centrale importanza operare per la ripresa e valorizzazione degli antichi mestieri con corsi di formazione che utilizzino le sapienze locali, trasferendo il bagaglio di conoscenze tra generazioni.
La ripresa di attività proprie del territorio consente l’interazione tra settori diversi ma complementari:
il maniscalco sarà utile all’allevatore o all’agricoltore che ha un agriturismo con cavalli, così il fabbro, il falegname, il cocciaio, il mugnaio costituiranno un solido retroterra di attività e di occupazione, nel rispetto del patrimonio locale e in un’ottica di sviluppo sostenibile.
Questi recuperi non vanno tuttavia disgiunti da quanto si diceva poc’anzi a proposito di adeguamenti tecnologici e di comunicazioni. Gli antichi mestieri devono poter convivere con la modernità di chi li esercita, o finiranno inevitabilmente per essere tagliati fuori dal mercato.
e) Infrastrutture e servizi (sostenibili): elementi indispensabili alla rinascita delle zone interne
La possibilità di ricollocare nelle aree interne attività produttive, siano esse legate al settore agro-silvo-pastorale, artigianale o imprenditoriale/tecnologico, non può prescindere dalle necessità di base che si manifestano nella ricerca di quei servizi essenziali, alcuni dei quali sono già stati menzionati ma che non sarà superfluo ricordare, ampliando la lista:
– lo sviluppo rapido della copertura banda larga;
– il miglioramento della viabilità inter e intra valliva;
– un’azione di alleggerimento fiscale per le imprese presenti nei comuni di alta collina e di montagna;
– il mantenimento di adeguati servizi alla persona che non siano un “accompagnamento all’estinzione”, ma un invito a vivere nelle Comunità Appenniniche;
– una perequazione territoriale degli oneri di urbanizzazione e fiscali.
D’altra parte i servizi alla popolazione sono elemento essenziale per garantire la continuità generazionale degli abitanti e scongiurare il progressivo spopolamento dei borghi e delle case sparse.
Diventa fondamentale quindi rivedere il taglio dei cosiddetti “rami secchi” sia nel trasporto sia nell’ambito sanitario e scolastico, e in particolare lavorare per:
– il ripristino e l’incentivazione dei trasporti pubblici ferroviari e su gomma (anche in riferimento al settore turistico a basso impatto ambientale) orientandoli alla sostenibilità;
– la riapertura e la tenuta di distretti socio-sanitari per una qualità diffusa del servizio (vedi servizio domiciliare per persone anziane e/o nascite assistite domiciliari);
– mantenere le farmacie e gli uffici postali come servizi essenziali di un territorio;
– mantenere efficaci ed efficienti le scuole dell’Appennino, a cui le comunità hanno diritto. Non possiamo, nell’assurda logica dell’ottimizzazione economica, chiudere presidi scolastici perché non sono raggiunti parametri di economicità sufficienti. Bambini e ragazzi esistono sia in pianura sia in montagna, manteniamo per loro il reale diritto allo studio effettuando deroghe legate alla reale capacità di un discente di parteciparvi senza costringere i propri genitori a migrare. Chiudere una scuola significa interrompere il flusso culturale tra le generazioni, perdere la possibilità di imparare il proprio dialetto, costringere famiglie che altrimenti sarebbero restate ben integrate in un territorio ad allontanarsi dalle proprie radici.
f) Lavoro pubblico e società partecipate
Una considerazione portante nel rilancio dei territori montani va effettuata relativamente alla componente territoriale di lavoro pubblico o comunque creato da società partecipate. È necessario che questo tipo di lavoro, nel quale può incidere l’indirizzo politico di un territorio, venga concepito come prima opportunità di nuova occupazione nelle zone montane. Le nuove frontiere dell’informatica portano alla possibilità di delocalizzare certe forme di lavoro. La differenza quantitativa nella capacità di incidere sulle politiche del lavoro nei comuni montani può permettere di avere buoni risultati con il decentramento di piccoli settori del pubblico e del partecipato. Portare, per esempio,
nei comuni montani i “call center”, gli uffici paghe, di progettazione e di ricerca (se legati al settore ambientale, all’agricoltura di qualità, alla green economy) delle strutture pubbliche e partecipate, può e deve essere il primo strumento per una “nuova vita” per la montagna. Anche per la gestione dei servizi di ambito ambientale – acqua, rifiuti – occorre trovare forme di distribuzione organizzativa che individuino sui territori la manodopera e le professionalità necessarie al fine di garantire una presenza di riferimento per le amministrazioni comunali e un maggiore legame con il territorio stesso.
Consegniamo queste riflessioni nelle mani di quanti – istituzioni nazionali, regionali e locali – hanno a cuore il bene del Paese e delle persone che lo abitano, consegnando, assieme alle parole, la disponibilità di quanti hanno contribuito finora agli Stati Generali delle Comunità dell’Appennino a continuare in un percorso di creatività e impegno collettivi. L’augurio è che da qui parta una stagione di grande concretezza e operatività che possa dare presto i primi frutti e che faccia scorgere al più presto con chiarezza i primi tratti dell’Appennino che verrà.
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