Tesori sepolti: Un viaggio nel patrimonio archeologico dei Monti Lepini
I Monti Lepini, imponenti e ricchi di storia, celano tra le loro vette e valli segreti archeologici che narrano storie di civiltà antiche e tradizioni millenarie. In questo articolo, esploreremo tre gioielli archeologici dei Monti Lepini: la Civita di Artena, il Parco Archeologico Antica Norba e il sito enigmatico di Privernum
La civita di Artena
L’importanza dell’area archeologica in località Piano della Civita e delle decennali attività di ricerca ivi condotte è data dal fatto che, a partire dal I sec. a.C., nell’area ormai abbandonata della città, e precisamente sulla cosiddetta terrazza centrale, venne impiantata una villa rustica, che visse almeno fino al III sec. d.C. Anche questo complesso è oggetto da vari anni di regolari campagne di scavo archeologico, che ne stanno ricostruendo l’intera vicenda storica, fatta di modifiche, ampliamenti, ingrandimenti, come in tutti gli edifici che hanno una lunga frequentazione e utilizzo. La villa, dotata di magazzini e ambienti dove si lavoravano i prodotti agricoli, presenta anche stanze di un certo decoro, con un atrio a quattro colonne di mattoni, un peristilio, un piccolo settore termale e alcuni vani pavimentati a mosaico di tessere bianche e nere con motivi geometrici e pareti rivestite di intonaco dipinto. I materiali recuperati nel territorio nell’ambito delle attività di ricognizione archeologica, consentono di integrare il quadro suggerito dalle indagini della villa collocata sul pianoro.
Ne emerge un panorama fatto di varie tipologie insediative (fattorie, ville rustiche, stationes, qualche santuario) distribuite in maniera abbastanza fitta su colline e pianori, collegate tra loro da una rete stradale capillare facente capo alla Via Latina, che attraversava questo territorio da Ovest ad Est e sul percorso della quale si dislocavano tombe (monumentali e a semplice fossa) e sepolcreti, caratterizzate da differenti rituali funerari (inumazione e incinerazione). I corredi che accompagnavano i defunti, più o meno ricchi (monete, lucerne, oggetti di ornamento personale, giochi, semplice vasellame domestico), contribuiscono a vario titolo alla ricostruzione della vita quotidiana, della società, delle usanze e dell’economia di queste contrade. Il passaggio della via Latina dovette sicuramente contribuire alla floridezza di alcuni insediamenti dislocati lungo il suo percorso, che hanno restituito testimonianze archeologiche che si spingono fino al crepuscolo dell’età antica.
Particolare importanza ebbe il sito in località Colle Maiorana, per alcuni identificabile con la statio ad Bivium, in prossimità del punto di confluenza con la via Labicana.
Alcuni dei reperti finora ritrovati sono conservati nel Museo Comunale di Artena ( viale I Maggio, 20). L’area, ancora oggetto di scavi, è situata nella parte più alta del paese e si raggiunge percorrendo in auto Via del Santuario.
Il parco archeologico di Privernum
La fruizione dinamica della storia di Privernum si conclude nel luogo che ne costituisce il prologo, a Mezzagosto, un’area di pianura nel cuore della valle dell’Amaseno, a poca distanza da Priverno, in un museo all’aperto dove si condensano i risultati di una ricerca volta a scoprire il passato che consentono ora un racconto che si articola nello spazio, fra monumenti, edifici e infrastrutture che segnano la vita della città antica dal II secolo a.C. al XII d.C.
Grazie a importanti progetti di valorizzazione promossi dall’Amministrazione Comunale e supportati dalla Regione Lazio, insieme ad annuali campagne di scavo in cui collaborano Università e Soprintendenze, sono dunque riemersi, liberati da quella possente coltre alluvionale che, nel tempo, ne aveva quasi cancellato ogni traccia, frammenti del tessuto urbano di Privernum romana, stratificati e riplasmati nel tempo, che parlano della lunga e articolata vita trascorsa in questo luogo.
Quell’immagine di una città che fu ricca e culturalmente affermata, suggerita nei Musei di Priverno e Fossanova attraverso momenti del vissuto, trova qui, fra le mura, le grandiose case repubblicane con i loro raffinati mosaici, la piazza, i templi insieme alle terme e al teatro di età imperiale e alla sontuosa chiesa altomedievale, le ragioni della sua connotazione. I complessi monumentali scavati sono stati musealizzati ed ora si stanno completando tutte quelle opere necessarie ad una giusta e piacevole fruizione: il centro visitatori, il parcheggio, aree di sosta e percorsi didattici. L’abitato romano si palesa con una fisionomia storica ed urbana che lo distingue da tutte le altre città antiche del comprensorio Lepino, strategici centri d’altura legati alle prime fasi dell’espansionismo di Roma. Privernum, città di pianura, fu rifondata come colonia romana nel tardo II secolo a.C., dopo essere stata preceduta, nella storia, da una Privernum volsca (V-IV secolo a.C.) e da un abitato di cittadini romani (IV-II secolo a.C.). Raggiunse quindi una sua dignità cittadina in un clima politico che, in un Lazio ormai completamente romanizzato, all’occupazione strategica sostituiva una riorganizzazione dei territori con città, epicentri della vita politica e amministrativa, che si proponevano loro stesse come causa ed effetto dello sviluppo economico della regione.
Appena varcato l’ingresso all’Area archeologica, in un solo colpo d’occhio si percepisce la vocazione propria di questo luogo, al centro di una fertile vallata serrata fra le propaggini montuose dei Lepini su cui si aprono e si incontrano quei canali intermontani che si prolungano a congiungere la valle del Sacco con la costa tirrenica e il porto di Terracina; una posizione che suggerisce immediatamente il ruolo produttivo e commerciale della città romana, obbligata cerniera per i raccordi trasversali fra i due grandi canali viari del Lazio sud: la via Latina e la via Appia.
Il sito fu dunque importante e malgrado le sue non favorevoli condizioni ambientali legate a un regime idrico instabile, fu frequentato e popolato ancor prima della fondazione della città e sempre da genti di Privernum, prima volsche e poi romane. Questi lacerti di storia si nascondono all’interno di complesse, e fisicamente profonde, stratigrafie di scavo che hanno restituito quei preziosi frammenti che al Museo archeologico raccontano “la città prima della città” e il ricordo di quella narrazione fa veramente avvertire, qui, il senso del divenire storico di questo spazio.
L’impatto con la monumentalità della città romana avviene costeggiando un tratto delle mura ma soprattutto avvicinandosi all’opera idraulica, un sorprendente manufatto con cui i Romani sono riusciti a difendere dall’acqua e rendere stabilmente abitabile un luogo troppo strategico per essere abbandonato. Al di sotto dei piani di calpestio antichi prorompe l’imbocco di una galleria, imponente con la sua larghezza di oltre quattro metri e che corre dritta per oltre duecento metri ad attraversare tutta la città. Costruita in calcestruzzo e coperta da una robusta volta, evoca la Cloaca Massima di Roma, e serviva ad incanalare un fiume e a metterne a regime le acque, regolate da sofisticati accorgimenti tecnici.
Sulla sommità della galleria si allunga una strada che conduce, oggi come allora, ad un’area pubblica imponente, una grande piazza circondata da trentadue taberne e chiusa, sullo sfondo, dai resti del teatro. Qui comincia ad apparire un’altra Privernum ancora, segnata da un percorso di mura di età medievale che si agganciano al teatro a limitare il perimetro della città di minore estensione che fu chiamata Piperno.
Poi ci sono le case romane, residenze di lusso di età repubblicana, tutte permeate di quegli influssi ellenistici che, fra il II e il I secolo a.C., avevano riscosso grande successo fra la ricca committenza romana. Si può entrare nei grandi atri e peristili, vedere sul posto tanti mosaici, inoltrarsi in stanze da letto e di rappresentanza dove ricollocare idealmente i sontuosi pavimenti visti al Museo archeologico.
Girando per le case si ricompongono stratificazioni di muri che segnano cambi di destinazioni d’uso, frazionamenti di proprietà, costruzioni di nuovi edifici che annullano quelli più antichi, e compaiono tracce della vita medievale con i “butti” che hanno sfondato i pavimenti romani e i focolari e le sepolture appoggiate su raffinati mosaici ellenistici.
La passeggiata in questo Museo all’aperto termina alla cattedrale, il grande edificio ecclesiastico che dal VI al XII secolo fu il simbolo di una nuova comunità cittadina. Qui, sull’estesa superficie della chiesa (18 x 30 metri), si intreccia un groviglio di interventi e trasformazioni edilizie che, fra incendi e alluvioni, hanno mantenuto in vita l’edificio per oltre sei secoli, fino a quando il sito di pianura fu abbandonato per ricostruire una nuova Piperno nel luogo che ancora oggi ospita Priverno.
L’Area archeologica è anche uno spazio per eventi, incontri, spettacoli e, per i più giovani, offre una gamma di attività didattiche da sperimentare in laboratori che propongono “lo scavo simulato”, “lo scavo in diretta”, “l’arte di costruire dei Romani” e l’affascinante esperienza di “misurare la terra” con strumenti e tecniche antiche. Sono attività all’aperto che completano l’offerta didattica del Museo archeologico di Priverno dove è stata ora inaugurata l’Officina dell’archeologia, un laboratorio per conoscere tecniche e saperi antichi divertendosi con l’argilla, la ceramica, il mosaico, lo scavo, la fotografia e il restauro.
Il parco archeologico Antica Norba
L’antica città di Norba si impone nel paesaggio per la spettacolare posizione che dall’alto dei Monti Lepini domina la Pianura Pontina, con uno strapiombo di circa 500m. Norba appare nelle fonti antiche all’inizio del V secolo a.C.: Livio (storico del I secolo a.C.) ricorda come vi fu inviata una colonia “affinché fosse una roccaforte nel territorio pontino”. Non fu lunga la vita della città: nell’81 a.C., Norba, che aveva assunto le parti di Mario durante la Guerra Latina, fu presa dalle truppe di Silla. I suoi abitanti preferirono suicidarsi e incendiare la città piuttosto che cadere nelle mani del nemico. Questi tragici eventi hanno consegnato una città in larghissima parte ferma a quei tempi.
Di forte impatto visivo sono le imponenti mura in opera poligonale realizzate con grandi blocchi in calcare, montati l’uno sull’altro senza uso di calce, che cingono la città per un percorso di circa 2,5 km. L’accesso al Parco Archeologico avviene oggi attraverso Porta Maggiore, la più monumentale rispetto alle altre tre porte: Porta Ninfina, Porta Serrone di Bove e Porta Signina, ubicate in punti strategici per il collegamento con il territorio circostante. L’area urbana mostra un impianto ortogonale, sc andito da assi stradali che si incrociano creando una serie di isolati destinati ad uso residenziale.
Le case presentano la pianta canonica di età repubblicana con atrio caratterizzato da una vasca centrale (impluvio) per la raccolta delle acque piovane che confluivano dal tetto parzialmente scoperto e inclinato verso l’interno (compluvio). Una cisterna sottostante permetteva l’approvvigionamento idrico, indispensabile in ogni casa, data la mancanza in città dell’acquedotto. Nell’atrio e nei due spazi aperti della casa (ale) si svolgevano le principali funzioni domestiche. Alle altre stanze si accede attraverso grandiose soglie in calcare: le piccole stanze da letto (cubicola) si trovano di lato; sul fondo si dispone la stanza da pranzo (triclinio) e di ricevimento (tablinio); cucina, dispensa e latrina potevano avere varie ubicazioni. Le stanze di rappresentanza sono pavimentate in cocciopesto, talvolta con disegni geometrici, mentre le pareti sono rivestite con intonaci di colore bianco, talvolta con pannelli per lo più rossi. Alcune case si sviluppano su due livelli dividendo la zona residenziale dalle cantine e dagli orti§; scale interne collegano alcune case tra loro. A volte un passaggio interno permette di accedere dalle case direttamente nelle botteghe ubicate lungo le strade e caratterizzate da un ingresso con porte scorrevoli.
Della città sono stati rimessi in luce circa 2 ettari su 44 complessivi, anche grazie al lavoro degli archeologi della Seconda Università degli Studi di Napoli che hanno privilegiato lo scavo delle strade straordinariamente ben conservate, parte integrante del percorso di visita. Le strade sono tutte pavimentate con basoli in calcare bianco, affiancate da marciapiedi su entrambi i lati e con fogne sottostanti ancora oggi funzionanti. Due gli assi principali scavati fino ad oggi con le relative traverse, sulle quali affacciano le case (domus) e le botteghe (tabernae)
Quasi al centro della città vi sono le terme, costruite in opera incerta poco prima della distruzione di Norba, tra la fine del II secolo e l’inizio del I a.C. A monte di questo edificio si sviluppano una serie di terrazzi in opera poligonale, uno dei quali doveva accogliere il Foro.
Diversi i templi che sorgevano nella città. Sulle due colline più pronunciate, convenzionalmente chiamate Acropoli Maggiore e Acropoli Minore, si impostano edifici sacri: sulla prima un tempio dedicato a Diana, circondato da un portico; sulla seconda due templi, dei quali si ignora a chi fossero dedicati. Il santuario di Giunone lucina, caratterizzato da tempio con annesso un portico, si dispone nell’area meridionale della città e domina dall’alto la piana pontina.
L’esplorazione di queste aree archeologiche nei Monti Lepini non solo ci offre un’opportunità unica di connetterci con il nostro passato, ma sottolinea anche l’importanza della conservazione. Preservare e proteggere questi siti è fondamentale per garantire che le generazioni future possano anch’esse godere della ricchezza della storia che questi luoghi raccontano.
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